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“In nome del Papa Re” di Antonello Avallone. A teatro l’omaggio a Roma e alla romanità

“In nome del Papa Re” di Antonello Avallone. A teatro l’omaggio a Roma e alla romanità

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In Nome del Papa Re

In Nome del Papa Re

IN NOME DEL PAPA RE. Il rapporto tra il popolo e l’aristocrazia romana nella seconda metà dell’anno 1800 è efficacemente descritto in questo bel lavoro che Antonello Avallone ha redatto ed interpretato per il teatro per omaggiare Roma e la sua romanità, dedicandolo a Luigi Magni ( regista dell’omonimo film ) ed al sempre rimpianto Sergio Fiorentini, attore e doppiatore che ebbe anch’egli ad interpretare, nel medesimo lavoro, la parte del perpetuo di Mons. Colombo, Serafino, e del quale ricorre ora un anno dalla sua scomparsa. Quest’ultima parte è ora assegnata e ben recitata da Pippo Franco, del quale è inutile cantare in questa sede le lodi data la sua ormai consolidata notorietà; la storia è riconducibile alla vicenda di Cesare Costa, Giuseppe Monti e di Gaetano Tognetti, questi ultimi definitivamente condannati a morte dal Tribunale Ecclesiastico dopo una celebre quanto inutile arringa in loro favore da parte di Mons. Colombo, giudice della sacra Consulta.
Ventitré zuavi pontifici persero la vita in un attentato alla caserma Serristori e la Roma del 1867, anno dell’attentato, sotto il pontificato di Pio IX, venne talmente sconvolta da tale attentato che il Papa, nella certezza o nella illusoria certezza di aver individuato nei tre rivoluzionari, deliberò, forse in maniera non del tutto giusta, la condanna a morte di Giuseppe Monti e di Gaetano Tognetti; Cesare Costa, figlio della contessa Flaminia Ricci, riuscì a scampare all’arresto ed al processo grazie alla confessione di sua madre a Mons. Colombo che egli era figlio nato da una fugace relazione con lui avuta nel 1849.
Il potere temporale e l’atmosfera che si respirava a Roma negli anni che precedettero la cessazione del potere pontificio, prima della la breccia di Porta Pia, è realisticamente ben descritto dall’intera compagnia che si esibisce al Teatro dell’Angelo diretto dallo stesso Antonello Avallone il quale, efficacemente coadiuvato da Pippo Franco, esprime con grazia e sensibilità artistica non comune le pene ed i dubbi che la contessa Flaminia riesce ad insinuare nella sua coscienza ( non pulita ) in ordine alla paternità del figlio Cesare, al punto che quando le guardie papaline vanno ad arrestarlo egli lo nasconde, insieme alla sua fidanzata Teresa, addirittura nella sua casa ed interviene, purtroppo inutilmente, con una arringa che gli costerà una reprimenda da parte del padre generale dei gesuiti e dello stesso Papa in favore degli altri due rivoluzionari.
Ancora una volta, il Teatro dell’Angelo, a suo tempo inaugurato da Vittorio Gassman e che la passione di Bedi Moratti, figlia di Angelo, riesce a tenere ancor oggi in piedi grazie all’impegno di Antonello Avallone, riesce a dare un fulgido esempio di quanto la volontà di uno sparuto gruppo di appassionati e letterali in materia di teatro, riesce ancor oggi a fare malgrado i durissimi tempi che il settore sta attraversando.

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