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Cannes 2016: ottima accoglienza per “La pazza gioia” di Paolo Virzì

Cannes 2016: ottima accoglienza per “La pazza gioia” di Paolo Virzì

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P1010017Come si sa, qui in Croisette la pattuglia italiana è abbastanza nutrita, divisa tra “Un Certain Regard” che ospita Pericle il nero di Stefano Mordini (già nelle sale ma qui ancora non proiettato), “Semaine de la Critique” (I tempi felici verranno presto di Alessandro Comodin), e ben tre film ospitati nella “Quinzaine des Réalisateurs” che, lo ricordiamo, è un evento autonomo che si svolge in contemporanea con il Festival di Cannes. Dopo Fai bei sogni di Marco Bellocchio, stamattina è stata la volta di Paolo Virzì e del suo La pazza gioia (nelle sale italiane a partire dal 17 maggio), interpretato da Valeria Bruni Tedeschi, personaggio amatissimo dai francesi, e da Micaela Ramazzotti, compagna del regista livornese. Il film, accolto da applausi convinti al termine di una proiezione “mista” di pubblico e stampa, racconta la storia di Beatrice e Donatella, due donne di estrazione sociale molto diversa, che soffrono di seri disturbi comportamentali e sono per questo ospitate a Villa Biondi, una struttura sanitaria dove vengono accolti i pazienti con disturbi psicologici.

Beatrice è una donna ultra-borghese e nullafacente, ricca ma ora interdetta dalla famiglia, sregolata, amica del Presidente del Consiglio Berlusconi, a suo dire vittima di un complotto delle toghe rosse (“Ma non è più il Presidente”, le fanno notare gli infermieri e i medici della struttura), che ha dilapidato il patrimonio familiare e ha sulle spalle persino due condanne definitive per bancarotta fraudolenta. Donatella invece è povera, vestita da “coatta”, col corpo magrissimo ricoperto di tatuaggi, un passato ed un presente difficilissimi ed un figlio piccolo sottrattole dallo Stato per motivi che lo spettatore scoprirà nel corso del film ma che si possono facilmente intuire sin dalla prima scena. Le due donne si incontrano, fanno amicizia e improvvisano una fuga che porterà ad una serie di complicazioni.

Dispiace dissentire sull’entusiasmo generale nei confronti di un film decoroso ma anche pieno di difetti, soprattutto in sede di sceneggiatura, scritta dal regista insieme alla collega Francesca Archibugi. Lo script è popolato di personaggi che appaiono tagliati con l’accetta e talmente forzati da rasentare la caricatura (soprattutto la Beatrice della Bruni Tedeschi) cosicché il film inanella una serie di sequenze risolte in maniera semplicistica e con l’utilizzo di espedienti scolastici, figli di un solido mestiere ma che denotano al contempo scarsa inventiva e nessuna voglia di rischiare. Per questa ragione, il film alterna, come quasi sempre in Virzì, la commedia e il dramma, producendo momenti anche molto buoni e divertenti, ma inciampa talvolta nella ricerca della battuta o della situazione ad effetto, a scapito della verosimiglianza narrativa e dell’attendibilità degli eventi (l’improbabile interessamento di Beatrice verso una donna appartenente ad una classe che lei disprezza, la fuga di Donatella dall’OPG, la fulminea e immotivata condiscendenza dei nuovi genitori del figlio di Donatella, tanto per fare qualche esempio). Per questa ragione, La pazza gioia appare un film più astuto che profondo, che si avvale di un buon ritmo (anche se qualche potatura avrebbe forse giovato) ma che a conti fatti morde poco, aderendo alla consueta ritrosia del cinema nostrano quando si tratta di affrontare temi scomodi o socialmente rilevanti, seppelliti dal riso e addomesticati, quasi che, nel mostrare la violenza legalizzata dello Stato, ci fosse un limite che è meglio non varcare.

Al termine della proiezione, il regista e le due protagoniste hanno salutato il pubblico. Virzì ha accennato al fatto che l’Italia è il primo Paese che ha chiuso i manicomi con la legge Basaglia del 1978 ma che essi sono stati sostituiti dagli OPG, che sono in sostanza la stessa cosa. “Nel corso della mia carriera, mi è capitato altre volte di avere a che a fare con personaggi che erano dei casi clinici. Il mio desiderio, nel fare questo film, era però di stare questa volta dalla parte di due persone matte ma anche escluse”. A chi gli chiedeva dell’inevitabile paragone con Thelma & Louise, il regista si è schermito assicurando di non avere rivisto il film per l’occasione e di averne un ricordo assai sfocato. In effetti, a parte una scena che sembra una vera e propria citazione della bellissima pellicola di Ridley Scott, la storia (e, c’è da aggiungere, anche l’esito), appaiono piuttosto diversi.

 

Salvatore Marfella

14/05/2016

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