IL BALLETTO DEL SUD, VIVALDI, AUDEN E JOHN CAGE ALL’OLIMPICO
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28 maggio 2016 – Una compagnia composta da sedici solisti di diverse nazionalità, tutti di elevatissimo livello ed in grado di alternarsi nei ruoli principali: è “Il balletto del Sud “ che ieri sera ha calcato il palcoscenico del Teatro Olimpico, ora tornato nuovamente nella sua piena operatività, strappando una serie lunghissima di applausi per una performance straordinaria.
E’ con quattro magici momenti che attraverso coreografie di Fredy Franzutti e le particolarissime, semplici e pur efficaci scenografie di Isabella Ducrot, è andato in scena uno spettacolo in grado di interpretare le stagioni della vita attraverso la descrizione dei sentimenti dell’uomo in una forma assolutamente diversa da quella che il grande Vivaldi ebbe a descrivere nel celebre concerto che porta lo stesso nome di quello dello spettacolo di ieri sera: “ Le Quattro Stagioni “.
Grande performance sia per la assoluta bravura dei danzatori che hanno dispiegato l’incedere della vita umana non come cadenza di giornate che inevitabilmente nascono, vivono, muoiono ma come reazioni emotive dell’individuo collettivo verso gli eventi che nella vita accadono: qui le musiche di Vivaldi hanno fatto da guida e da cornice allo spettacolo, rendendolo affascinante pur nella sua misteriosa ma esplicita al tempo stesso forma interpretativa, trascinante per lo spettatore che ha seguito ed ha ascoltato gli intermezzi per versi di Wystan Hug Auden, meravigliosamente recitati da uno splendido Andrea Sirianni la cui interpretazione ha guidato, se possibile, l’intera serata, l’ha spiegata rendendola esplicita all’ affascinato spettatore.
Amore, apatia, ansia e morte vengono così associate ognuna ad una stagione dell’anno: primavera è rapporto con l’amore e questo legame è stato espresso e descritto dal perfetto, sincrono ritmo dei danzatori tutti, apparsi in straordinaria armonia con i tempi musicali scanditi sulle note del concerto vivaldiano per l’occasione riprodotto dall’diorchestra filarmonica di Vienna diretta da quel mostro di bravura che è Herbert von Karajan; sempre le note di Vivaldi hanno risuonato nella descrizione dell’estate, stagione immobile tendente all’inabilità ed al disinteresse verso le altrui problematiche e dell’autunno che il coreografo ha interpretato come la routine alla quale si sottopongono i pendolari nel procedere nell’attività quotidiana; infine, l’inverno, la morte che rende inutile qualsiasi reazione: “ tirate giù il sole, svuotate gli oceani, abbattete gli alberi; perché niente servirà più a niente “.
Nel balletto al quale abbiamo assistito l’incedere dalla vita inizia dal fondo destro della scena, esplode e si rivela dinanzi allo spettatore e scompare ingoiato dalla quinta del proscenio di sinistra: è questo fluire senza ritorno che crea il senso dello scorrere inesorabile del tempo, un fluire, una serie continua di “ carpe diem “ che evidenzia quanto le stagioni delle emozioni, come quelle metereologiche, regolarmente ritornano e si alternano sorprendendoci ed indicandoci che al gelo della morte succede sempre il ritorno di una primavera d’amore in grado di reinnescare non solo il ciclo della natura ma anche quello delle umane sofferenze.
L’incedere di ogni stagione, oltre che dalle musiche di Vivaldi e dai versi di Auden è mirabilmente accompagnato anche da brevi brani di musiche opera di John Cage che tutti indistintamente i danzatori hanno saputo assorbire e straordinariamente ben interpretare.
I costumi sono ricostruiti da immagini d’epoca del XX secolo americano per più adeguatamente descrivere l’uomo americano e la sua straordinaria creatività all’interno del Novecento mondiale, uomo al