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SLAM – TUTTO PER UNA RAGAZZA. Raffinata ripetizione al cubo

SLAM – TUTTO PER UNA RAGAZZA. Raffinata ripetizione al cubo

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Slam

Slam-Tutto per una ragazza. Dopo i due promettenti lungometraggi d’esordio (“La ragazza del lago”, di dieci anni fa, e “Il gioiellino”), con la sua opera terza (presentata al 34° Torino Film Festival e, in anteprima stampa, nella Sala Universal di Roma lo scorso 13 marzo) Andrea Molaioli abbandona Toni Servillo e la torbida provincia italiana e fa ritorno a casa, in quella Capitale e in quell’ambientazione medio-borghese tanto care al nostro ultimo cinema. Conserva il montaggio di Giogiò Franchini, le musiche di Teho Teardo e naturalmente la casa di produzione (Indigo Film), affidando però la scena stavolta non a interpreti consumati e celebrati, ma a due giovani attori, Barbara Ramella (Alice) e Ludovico Tersigni (Samuele), supervisionati dalle rispettive coppie di genitori, Fiorenza Tessari e Pietro Ragusa da un lato e, soprattutto, Jasmine Trinca (Antonella) e Luca Marinelli (Valerio) dall’altro. Due coppie opposte, la prima unita, rigida ed invadente, la seconda separata da anni e più comprensiva ed aperta.
L’occhio dell’autore si concentra sul presto diciassettenne Samuele. Il quale, durante una festa di adulti cui non voleva partecipare, s’innamora all’istante di Alice, la sola minorenne della serata, sua coetanea e come lui figlia unica (della coppia di casa). Il loro rapporto segue le dinamiche del terzo millennio e viene subito consumato. Letteralmente: bastano un’assenza del preservativo e l’inarrestabile eiaculazione precoce da cui è afflitto il ragazzo per trasformare il flirt in una gravidanza. Che, dopo la debole e breve fuga di Samuele, viene confermata dal (doppio) test. Gettando così nello scompiglio tanto i ragazzi quanto i genitori. Meno quelli di Samuele, che hanno vissuto un’esperienza analoga con lui e anzi colgono l’occasione per rivivere quelle tensioni, anche benefiche, assieme al loro figliolo. Se dunque diverse sono le reazioni e le suggestioni, unico è il risultato: nasce un bel maschietto, Rufus (Ufo per gli amici), e la giovane coppia entra in crisi. Senza rompersi del tutto però.
In “Slam” Molaioli tradisce il titolo, non “sbatte” alcuna “porta” né conduce i suoi personaggi a “cadute rovinose” conseguenti ad “evoluzioni acrobatiche”, ma mette in scena una sorta di monocorde e raffinata ripetizione. Una ripetizione al cubo: da generazioni nella famiglia di Samuele si diventa genitori prima della maggiore età, e nemmeno lui può sfuggire a questa legge; in più, egli si accorge di ricalcare le orme di Tony Hawk, il suo idolo skateboarder, se non sul piano sportivo almeno su quello della vita privata; come se tutto ciò non bastasse, nelle sue inquiete notti d’adolescente chiamato anzitempo ad essere adulto, egli assiste in anticipo a quello che gli succederà.
Pertanto, noi spettatori vediamo e rivediamo con lui le sue reazioni agli snodi narrativi ovvero ai salti temporali, che lo fanno essere prima in attesa di un figlio, poi genitore e fratello insieme (Antonella replica, con un nuovo uomo), infine (ma questa è solo anticipazione onirica cui non segue la verifica) separato ufficialmente ma amante di nascosto. Tra flashforward onirico e realtà, i cambiamenti sono legati ai toni cromatici e alla reazione del protagonista, che nel primo caso chiaramente non sa, nel secondo è già preparato.
In tal modo, con buona pace di Hawk, il film non decolla mai veramente, non accelera, non precipita né s’impenna. Nessuna evoluzione (in ogni senso), ma una quieta e accomodante progressione tra sogno, realtà, voce fuori campo di Hawk e presa di coscienza di Samuele. Forse risiede qui, il pregio del film: guardando al libro cui s’ispira (“Slam”, del sempre gettonato Nick Hornby), Molaioli tesse una fluttuazione leggera e dalle venature poetiche, alternando e amalgamando i personaggi e i registri senza “slam” alcuno.