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Transformers – L’ultimo cavaliere, un Micheal Bay ormai ripetitivo

Transformers – L’ultimo cavaliere, un Micheal Bay ormai ripetitivo

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Transformers L’ultimo Cavliere

Con Transformers-L’ultimo cavaliere Micheal Bay sembra portare ad un altro livello la propria poetica dell’azione iperbolica al limite dello stordimento sensoriale. Abbandonando ogni remora narrativa, che, seppur abbozzata e spesso inconsistente, nei precedenti film faceva ogni tanto capolino, con questo quinto episodio della fortunata saga cinematografica Bay decide di girare il suo personale “ opus magnum “: una lunghissima scena d’azione  di quasi 3 ore intramezzata da brevi raccordi descrittivi per aiutare lo spettatore a raccapezzarsi di fronte ad un turbinio (spesso incoerente) di situazioni, personaggi e spostamenti locali, regionali e temporali.

E non fatichiamo a credere che stavolta anche il fan più accanito possa essere messo alla prova da tale tour de force: si passa repentinamente e senza soluzione di continuità dalle antichità arturiane alla Chicago attuale, dallo spazio oscuro del pianeta natale dei Transformers alla Germania nazista, dalle profondità oceaniche alla stratosfera, passando per Cuba,  Londra, Stonehenge etc.

La storia, come detto, è solo un pretest per proporre, in sostanza, il medesimo schema dei precedenti tre seguiti: Transformers messi al bando e costretti a nascondersi dalle rappresaglie umane, la scoperta di un cattivo ancor più cattivo e potente (in questo caso addirittura la “divinità” creatrice dello stesso Optimus Prime, Quintessa, interpretata da Gemma Chan) che deve  recuperare l’ennesimo artefatto nascosto sul pianeta terra e che serve per così poterlo annientare.

Da qui la corsa a perdifiato dei protagonisti  per recuperare l’artefatto e impedire che Quintessa possa riuscire nel proprio intento.

Dal precedente episodio ritroviamo il granitico Mark Wahlberg, mentre come bellezza si aggiunge una (improbabile) professoressa ai massimi livelli di letteratura, storia e filosofia interpretata da Laura Haddock.

Inutile girarci attorno, per giudicare Transformers 5 è necessario vederlo per quello che si propone di essere: un’esperienza visiva che mira a creare un continuo shock sensorio nello spettatore.

Da questo punto di vista, se si è disposti a lasciarsi trasportare in un roller-coaster percettivo come difficilmente se ne sono visti (ci viene in mente il recente remake di Mad Max, che però, così crediamo, presenta un risultato di ben altro livello), allora il divertimento è assicurato. Anche solo perché su questo Bay come al solito non tradisce, mostrando ancora una volta il suo evocativo senso per le inquadrature, della composizione visiva e del montaggio ipercinetico.

Certo, in questo caso si mostra un certo indulgere in diverse inquadrature già viste decine di volte nei precedenti episodi, ma questo è un dettaglio, probabilmente forzato da un minutaggio che, se fosse stato asciugato di  20/30 minuti, la stessa ricerca della perfetta intensità dinamica che l’intera operazione vuole suggerire ne avrebbe probabilmente giovato. Altro elemento di nota per il tipo di film viene ad essere rappresentato – anche se non è più una novità – dall’eccellente sofisticazione digitale, che di certo favorisce la ricercata immersività.

Transformers – L’ultimo cavaliere di certo renderà felici i giovanissimi, che saranno catapultati in una giostra che sembra non finire mai. Forse un po’ meno saranno contenti i più grandi, i quali magari li accompagneranno attendendosi un classico action movie hollywoodiano, bello scanzonato e fracassone, per invece ritrovarsi in sella ad un cavallo selvaggio lanciato a tutta velocità giù per un pendìo durante un bombardamento.