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L’INTRUSA – recensione

L’INTRUSA – recensione

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“L’Intrusa” di Leonardo di Costanzo. Ci sono dei film che oltre a far del bene al cinema per la loro potenza espressiva, hanno anche la capacità di mettere lo spettatore in condizione di riflettere. Può sembrare una banalità ma non lo è. Il cinema, infatti, è per sua natura un luogo dove chi osserva cerca, ottenendolo spesso, l’intrattenimento più puro. L’intrusa di Leonardo di Costanzo rappresenta un esempio eccellente di come questi due momenti possano convergere in maniera armoniosa. Girato con molta macchina a mano, permeato da una fotografia che non ha quasi mai l’intento di filtrare la realtà, racconta la Napoli periferica con un tocco a cui il cinema italiano non era più abituato. Pur essendo prodotti di altissima qualità visiva, infatti, i vari Gomorra e Suburra tendono a descrivere il male di città come Napoli o Roma attraverso una deriva gangster. Questo film, invece, riesce a riaprire le ferite della periferia attraverso il bene. Attraverso ciò che funziona. Giovanna è una donna di mezza età che gestisce una masseria adibita a centro ricreativo per bambini svantaggiati. Decide di accogliere una donna con due figli, che si scopre essere in realtà la moglie di un camorrista. Le famiglie dei bambini, impaurite, si scagliano contro il tentativo di Giovanna di integrare l’intrusa. Un’integrazione che Giovanna, fino alla fine, cerca di sostenere a denti serrati. Di Costanzo, senza un momento di retorica, lascia la scena a personaggi meravigliosamente spontanei. I volti, così come il dialetto, così come i corpi e gli abiti consunti, rinvigoriscono le sequenze di un profumo popolare che raramente si vede oggi sul grande schermo. Niente è patinato. Tutto è assai realistico. Ma il regista, peraltro sceneggiatore, vuole lanciare almeno un paio di messaggi ingombranti. In primo luogo ricerca costantemente di mostrare il bene laddove regna il male e un tipo di sofferenza definibile come endemica. La cooperazione che avviene fra Giovanna, gli altri volontari e la scuola dalla quale provengono i bambini, è o dovrebbe essere motivo di orgoglio non solo per quelle terre abbandonate dallo Stato, ma anche per chi vi punta sempre contro il dito. In seconda istanza, Di Costanzo pare voglia metterci in guardia da questa, sempre più diffusa, voglia di emarginazione accompagnata da una certa rigidità pregiudiziale. L’intrusa è per queste ragioni un film doloroso e al contempo importante, che dimostra come si possa fare un cinema impegnato anche grazie alla spontaneità, e perché no all’ingenuità dei suoi interpreti.

Luca Di Dio