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UN SACCHETTO DI BIGLIE

UN SACCHETTO DI BIGLIE

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Christian Duguay, per chi lo conosce bene, come nel suo paese, la Francia, significa storia, fiction, biografia e spesso denuncia. Dopo aver iniziato con una serie non fortunata di opere fantascientifiche, la svolta della carriera arriva nel 1999 grazie al più che acclamato racconto dedicato a Giovanna D’Arco. Da quel momento in poi, Duguay continua per la stessa strada, rendendo omaggio ad altri personaggi realmente esistiti con storie interessanti da raccontare. Tra questi, ricordiamo Il giovane Hitler (2003), Coco Chanel (2008), Sotto il cielo di Roma (2010) e Sant’Agostino (2011). Ed ora, sta per arrivare in sala, uno tra i suoi lavori più ambiziosi. Un sacchetto di biglie, narra la vera storia di Maurice e Roman, due fratelli ebrei che, costretti a lasciare casa a causa della guerra, affrontano un lungo viaggio alla ricerca di un posto più sicuro. Appena giunti in Italia però, la fine del fascismo e l’evidente arrivo dei tedeschi, rimettono di nuovo in discussione tutto. Genitori e figli sono costretti a separarsi di nuovo, sperando di rivedersi alla fine della guerra.
A differenza del libro di Joseph Joffo, scritto a trent’anni di distanza dai fatti accaduti, il film di Dugay racconta una storia vista con gli occhi di due bambini non ancora maturi. Maurice e Joseph sono due creature innocenti, costrette a toccare con mano la realtà dell’olocausto, a rinnegare le loro appartenenze religiose pur di continuare la loro esistenza, a ricevere forti schiaffi dai genitori se si infrangono regole che possono rivelarsi fatali per la loro sicurezza; del resto il padre più volte dichiara che è meglio sentire il dolore di uno schiaffo piuttosto che morire. In tutto questo, hanno grande importanza le biglie. Il gioco che Maurice e Joseph praticano per rilassarsi e per sognare un pacifico ritorno a casa accanto ai genitori, è anche simbolo di un’infanzia messa alla prova.
A rendere ancora più interessante il racconto, una serie di personaggi secondari ma pur sempre determinanti: il dottor Rosen, il libraio collaborazionista, il partigiano ed il sacerdote disposto a tutto pur di dimostrare la veridicità di un falso battesimo per Joseph e Maurice in una Chiesa cattolica. Inoltre, Un sacchetto di biglie, non è solo storia raccontata in modo delicato, ma anche una sincera riflessione sul senso della crescita; il viaggio non rappresenta solo la ricerca di una pace interiore, ma anche un simbolico affacciarsi alla vita. Lo scenario ed alcuni elementi comuni rimandano a un altro bellissimo film del regista greco Theo Angelopulos, Paesaggio nella nebbia, girato nel lontano 1988. Voula e Alexandros, si separano dalla madre per raggiungere da soli il presunto padre emigrato in Germania. Seppur in circostanze diverse, anche in questo caso i due fratelli scoprono la realtà con la quale saranno costretti a confrontarsi da adulti.
Tornando però a Un sacchetto di biglie, non esitiamo ad emettere un giudizio positivo per gli attori Dorian Le Clech e Batyste Fleurial Palmieri, rispettivamente nei ruoli di Joseph e Maurice. A giudicare dalle parole di Christian Duguay, i due sono stati messi alla prova da un copione intenso e difficile. Molti attori professionisti, preferiscono focalizzarsi sulla loro battuta, non tenendo conto di chi deve rispondere. Il regista voleva invece che ogni scena fosse interpretata in modo spontaneo e fosse sentita emotivamente, anche ispirandosi a chi sta di fronte. In questo i due protagonisti sono stati molto bravi nel rispettare le richieste dell’autore.
Quando si tratta di un film che si apre alla storia, il cinema ripaga spesso lo spettatore con uno spettacolo appassionante e istruttivo. E’ questo il caso di Un sacchetto di biglie, per cui vale senz’altro la pena acquistare un biglietto. Anzi sarebbe utile coinvolgere anche i ragazzi, preferibilmente dalle scuole medie in poi.

Eugenio Bonardi