ARTE ANTEPRIME FILM CINE&TURISMO CINEMA INTERVISTE LIBERAMENTE LIBRI LO SAPEVATE CHE... MODA E TENDENZE MUSICA NEWS RECENSIONI FILM RECENSIONI SR E JR RUBRICHE TEATRO TV
Caricamento in corso

A Quarto Grado parla Silvia Fojtikova, la mamma del piccolo Marco Zani

A Quarto Grado parla Silvia Fojtikova, la mamma del piccolo Marco Zani

Condividi questo articolo:

Quarto grado, l’intervista alla mamma di Marco Zani

Incendio di Sabbioneta, la mamma di Marco, Silvia Foltikova a Quarto Grado: “I miei figli e io ci chiamavamo i quattro moschettieri”.

Questa sera a Quarto Grado l’intervista alla madre di Marco Zani, l’undicenne morto nel rogo dell’abitazione di famiglia a Sabbioneta il 22 novembre. Silvia Fojtikova, la madre di Marco Zani, il bambino di undici anni morto nel rogo dell’abitazione di famiglia a Sabbioneta (Mantova), lo scorso 22 novembre. Dell’incendio è accusato il padre di Marco, Gianfranco Zani, cui il Gip di Mantova ha convalidato l’arresto.

Di seguito, stralci dell’intervista realizzata dalla giornalista Martina Maltagliati.

Cos’è successo il 22 novembre scorso?

«Ha cercato di venire contro la mia macchina con il suo furgone. Così ho chiamato subito i carabinieri: lui non può per il provvedimento che gli è stato imposto. Mentre ero al telefono con i carabinieri ho visto del fumo uscire dalle finestre. Allora ho urlato che stava bruciando casa e di chiamare i pompieri, perché dentro c’era mio figlio. Ho aperto la porta e tentato di andare al piano superiore, dove c’era Marco. Ma non sono riuscita perché era buio… c’era solo fumo e non si respirava. Ho preso il bambino più piccolo e l’ho portato giù. Poi sono tornata di sopra per cercare di aprire la cameretta, ma non ci riuscivo… c’era qualcosa che bloccava il passaggio per andare in camera. Ci ho provato tre volte, ma niente. Sono arrivati carabinieri: hanno aperto la porta a calci, ma c’era troppo fumo e non riuscivano a entrare. Dovevano aspettare i vigili del fuoco con le maschere. Marco l’hanno tirato fuori dopo tre quarti d’ora, penso. L’hanno portato fuori in braccio, messo subito sull’ambulanza, cercato di intubarlo e poi l’hanno portato in ospedale… ma non c’è stato niente da fare».

Lui (Gianfranco Zani, ndr) aveva ancora le chiavi di casa?

«Sì».

Poteva non sapere che Marco fosse in casa?

«A quell’ora, di solito siamo tutti in casa… cosa che lui non accettava. Spesso ha detto che, piuttosto di lasciarmi la casa, avrebbe dato fuoco all’abitazione e a tutti noi».

C’era uno dei bambini con il quale Gianfranco ce l’aveva in particolare?

«Con Marco, soprattutto con lui. Lui puntava molto su Marco, perché era un bambino molto sensibile, bravo e buono. Ha cercato di portarlo dalla sua parte, ma Marco ha visto che suo padre era un violento e ha iniziato a dirgli che non lo voleva più in casa, di andare via. Per questo ce l’aveva con Marco. Aveva capito che non aveva nessun alleato».

«I bambini non erano più felici, vivevano in una situazione molto difficile. Lui veniva a casa solo la sera, sempre ubriaco e urlava tantissimo: era proprio fuori di testa. Era sempre più violento, ha cominciato a picchiarmi e mio figlio, il più grande, si è messo in mezzo. A quel punto ha picchiato anche lui, poi ha spinto via Marco che ha sbattuto la testa, mentre io ho sbattuto la schiena contro il tavolo… si è messo sopra di me per picchiarmi, ma i miei due figli più grandi mi hanno protetto. Appena mi sono ripresa, siamo andati via in macchina e siamo tornati a casa con i carabinieri. Dopo ci hanno portato in ospedale, dove siamo rimasti una settimana».

Non ha mai ammesso di avervi picchiati?

«Invece è successo, l’ha fatto. Dopo tutte le minacce, dopo tutto quello che ha fatto, i miei figli avevano paura».

I problemi più grossi quando si sono presentati?

«Con l’arrivo del secondo figlio. Dopo un anno ha cominciato a bere, tornava a casa ed era violento. Ha avuto anche problemi di droga per qualche mese».

A luglio ha tirato una cassa audio in testa ad Alex (uno degli altri due figli, ndr)?

«Sì, in testa e poi l’ha riempito di pugni. Non riuscivo a staccarlo da lui. Lì ho pensato che un padre non può arrivare fino a quel punto. Non ci sono parole adatte per descriverlo. Ci chiamavamo i Quattro Moschettieri, perché anche i bambini avevano capito la situazione. Ci dicevamo sempre che un giorno avremmo vinto e che saremmo stati felici. Ora devo farcela per gli altri miei due figli e anche per Marco. Ha eliminato un “guerriero”, ma sono ancora mamma e sono fiera di quello che ho fatto. Anche se una parte l’ho persa».