” dolor y gloria “, un Almodovar dal quale ci aspettavamo di più
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Trentadue anni: è questo l’arco di tempo che Almodovar ha impiegato per completare una ideale trilogia che ebbe inizio con “ La legge del desiderio “ e continuò con “ La mala educacion “ che si completa ora con questo “ Dolor y gloria “ che, come gli altri due, racconta di registi cinematografici ossessionati dal desiderio di esprimersi misto alla finzione cinematografica.
Salvador Mallo è, nell’ultima fatica del regista madrileno, un regista cinematografico affetto da numerosi disturbi fisici che gli impediscono di esplicitarsi con l’impossibilità a girare altri films e con la conseguenza di una sua caduta in fase altamente depressiva che cerca di affrontare attraverso una potente assunzione di numerosi farmaci: ovvia consegue4nza è prima un continuo stato di dormiveglia e, poi, purtroppo, l’eroina.
Nella fase di dormiveglia sogna continuamente un periodo della sua vita al quale non ha mai potuto dedicare nessun momento di osservazione: la sua infanzia, sua madre, il suo primo amore da adulto ed il dolore che la fine di questo amore gli provocò; Salvador si rifugia nella scrittura ricordando come il cinema costituisse allora per lui una salvezza e sente la necessità di narrare queste sue sensazioni.
E allora ricorda, narrandole, due storie d’amore: quella vissuta da adulto e quella, inconsapevole, vissuta da bambino quando provò, per un uomo, il suo primo impulso sessuale; una sorta di autobiografia narrata in maniera delicata, un riconoscimento per l’amore provato per un uomo adulto emigrato poi in Argentina e che dopo trent’anni si riaffaccia nella sua vita.
La storia è narrata in maniera assai tenera e delicata anche attraverso l’utilizzo di locations identiche alla vera casa di Almodovar nella quale è ambientata la vita di Salvador, con i suoi mobili ed i suoi arredi, gli straordinari colori dell’ambientazione; ma soltanto parte della storia, fisicamente parlando, è vera; il resto, la parte interiormente vissuta, è però il vero Almodovar.
A parere di chi scrive la pellicola è veramente infarcita di tanta tenerezza ( anche se concentrare l’attenzione sui tanti dolori fisici del protagonista appare eccessivo, addirittura stancante ), una tenerezza che però è bruscamente frantumata dalla scena del bacio tra Salvador ed il suo vecchio amante che, anche per la sua eccessiva e troppo esplicita durata, appare tale da danneggiare addirittura l’intera gradevolezza del fim.
Gli interpreti: molto pregnante Antonio Banderas nei panni di Salvador ed un tantino beffardo Leonardo Sbaraglia; del tutto normale l’interpretazione di Penelope Cruz che sembrerebbe voler imitare, nei panni della madre di Salvador, ma senza avvicinarcisi, una ineguagliabile Sophia Loren.
Assai degna di citazione invece la sottile interpretazione di Julieta Serrano, la madre ormai anziana di Salvador, piena di sentimento e di pateticità mai eccessiva, anche quando decrive come desidera il suo sudario.
Le musiche, Alberto Iglesias ha composto la colonna sonora, riflettono la luminosità della cittadina di Paterna e della grotta nella quale visse da bambino il protagonista del film con toni che riescono a coprire i silenzi ed esaltano i dialoghi a volte anche drammatici evidenziando, quando occorre, l’ansia interiore che vive il protagonista; bellissime le incursioni de “ La vie en rose “ interpretata da Grace Jones ed estremamente azzeccata la canzone cantata da Mina, “ come sinfonia “ che accompagna quella che può definirsi la scena madre del film, quella del bozzetto dell’acquerello che domina e pervade lo sviluppo dell’intera pellicola.
Il film, presentato a Cannes,dove non sembra aver ricevuto particolari apprezzamenti, è già in sala dallo scorso 17 maggio distribuito da Warner Bros