La realtà virtuale di Venezia 76 e l’arte di Miwa Komatsu: una finestra sull’invisibile
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Miwa Komatsu sul red carpet della Mostra del Cinema di Venezia (1) [© Sabina Filice]
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Miwa Komatsu durante l’intervista (1)
Ero arrivato da qualche minuto sull’isola del Lazzaretto Vecchio assieme alla nostra direttrice Rossella Smiraglia. Ci stavamo orientando all’interno del caleidoscopico spazio suddiviso in tre articolati tronconi e diverse sezioni, dal “Teatro VR” alle opere “interattive” passando attraverso le “lineari” e quelle esposte in altre mostre e dunque non in concorso (“Best of VR”). Nessuna scaletta ci guidava, ma il puro desiderio di lasciarci andare per la durata della mattinata che avevamo deciso di dedicare alla VR, (piacevolmente) sacrificando un buon numero di visioni ed eventi che in quelle stesse ore si svolgevano al Lido.
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Miwa Komatsu sul red carpet della Mostra del Cinema di Venezia (2) [© Sabina Filice]
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La mia immersione in “Inori VR”
Alcuni giorni dopo, davanti al Casino del Lido di Venezia, ho incontrato Sabina Filice, una delle fotografe ufficiali della Mostra del Cinema (oltre che dei più importanti eventi artistici italiani), referente imprescindibile di prestigiose riviste (tra cui la presente). Ebbene, Sabina mi ha proposto di incontrare Miwa per intervistarla.
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Miwa Komatsu prima di cominciare il live painting [© Sabina Filice]
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Dal primo momento che l’ho vista, Miwa mi ha trasmesso una sensazione di serenità, di “fragile potenza”, una dolcezza “piena”, un’armonia radicata e radiosa. Davanti a me, sulla sedia dell’intervista, c’era una bella e minuta ragazza, sempre attenta e sorridente, dai tratti delicati, i movimenti sinuosi, leggeri e precisi e gli occhi profondi.
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Miwa Komatsu durante l’intervista (2)
Gli occhi, appunto. Sono questi, il segno distintivo di ogni suo dipinto, i centri gravitazionali attorno cui si sviluppano le dense e nette tracce di colore che le sue mani e le sue braccia lasciano sulla superficie pittorica. Schizzi diagonali, orizzontali e verticali, linee concentriche che tendono a irradiarsi (esattamente come quelle, nette e declinate al rosa, dello splendido vestito indossato da Miwa e creato per lei dalla casa di moda Christian Dior), evoluzioni ancora e sempre vive perché continuazione di un medesimo, ininterrotto movimento. «Ogni linea – rileva il professor Kunio Motoe nel suo intervento all’interno del libro di Miwa (“Powerful and Pure”, p. 38; traduzione mia) – è essa stessa viva e apre […] ad altre dimensioni […] sul corpo che la supporta. Se una linea viene tracciata con il cuore e la mente, diventa un mezzo, o piuttosto una forma di esistenza, per trasmettere quella potenza».
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Fase di realizzazione del live painting (1) [© Sabina Filice]
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“All May Become Dragons” (193.9 x 259.1 cm, acrilico, gofun) © miwa-komatsu.jp
Ha ragione il professor Motoe (ibidem): «Una volta che i nostri occhi incontrano i loro, non c’è più via di fuga. È raro imbattersi in un’immagine che si inserisca così, all’improvviso, nella nostra anima, ma ciò deriva dalla straordinaria forza delle linee, ritmiche e dirette come il battito cardiaco. Esse hanno una vita chiaramente definita, come se potessero schizzar via dalle loro superfici in qualsiasi momento. Com’è possibile per Komatsu creare tali immagini? È come se lei vedesse le spesse pareti della realtà alla stregua di un film, un’interfaccia che può attraversare. O forse è in grado di stare lì, proprio al limite».
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Fase di realizzazione del live painting (2) [© Sabina Filice]
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Icona del Salvatore dipinta da Andrej Rublëv
Nello specifico (e per rifarmi ancora al mondo russo), ho notato ripresentarsi nelle opere di Miwa le costanti della pittura di icone. Che sintetizzerei in due parole: preghiera e sguardo. Tanto Miwa quanto i pittori di icone sanno infatti che, delle loro opere, essi non sono “autori”, ma semplici intermediari, medium tra il materiale e lo spirituale; per questo motivo ogni opera abbisogna di una lunga preparazione interiore, un intenso dialogo con coloro che guideranno poi gli occhi e la mano dell’artista. Inoltre, al pari delle opere di Miwa, anche l’icona gravita attorno allo sguardo, uno sguardo disarmato e immensamente potente che si rivolge a noi e ci chiama. E a noi si rivolgono (grazie a ciò che Pavel Florenskij chiama «prospettiva rovesciata») tutti gli altri elementi, ognuno – minerale, vegetale, animale e umano che sia – raffigurato con il proprio specifico e insostituibile valore. “Raffigurato”, ho scritto, ma avrei dovuto dire “emerso”: il dipinto che vediamo non è invenzione dell’artista, non è una creazione ex novo, ma è l’“emersione progressiva” di ciò che c’era già (da sempre).
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Fase di realizzazione del live painting (3) [© Sabina Filice]
Anche questo articolo, nel suo piccolo, ha l’ambizione di essere una “porta”: alla video-intervista cui rimanda e alle opere di Miwa. Che invito il lettore a scoprire e approfondire, abbattendo ogni difesa e lasciandosi in esse dolcemente naufragare.
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Miwa Komatsu al termine dell’intervista