“The New Pope” la svolta intimista nel racconto dei due Papi di Paolo Sorrentino
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Set of “The New Pope” by Paolo Sorrentino.
in the picture Jude Law and John Malkovich.
Photo by Gianni Fiorito
“The New Pope” la svolta intimista nel racconto dei due Papi di Paolo Sorrentino
Negli episodi mostrati alla stampa (I, II e VII) si conferma tutta quella tecnica eccelsa che è il marchio di fabbrica del premio Oscar Sorrentino, con l’ausilio di una fotografia (di Luca Bigazzi) che si trasfigura in un’estetica sontuosa dove i fotogrammi sembrano quasi una successione di quadri, garantendo lo spettacolo visivo. Ma si confermano pure quei toni un po’ sopra le righe (specie per i credenti inevitabilmente, vedasi alcuni cliché sulle suore e su una tendenza all’opulenza di “certa” Chiesa) che, pur essendo parte del “marchio”, rischiano ormai di divenire scontati, soprattutto in un’opera che sfiora le 8 ore. E’ la solita storia di questa tipologia di registi: chi venera Sorrentino si esalterà, chi non lo ama totalmente troverà nuova linfa per i suoi dubbi. Pur nella parzialità dell’anteprima, tuttavia, qualche novità sembra cogliersi: se nella prima serie l’occhio indugiava molto sulle manovre di potere (altro cavallo di battaglia del regista), quasi una versione ecclesiastica de “Il divo” e di “Loro”, nella nuova sembra farsi strada una visione più intimista. Non per niente Sorrentino dice che scopo di “New Pope” è «esplorare l’ambizione di due grandi Papi: essere dimenticati, lungo una via costellata dagli ostacoli terreni». Riflesso di questa finalità è lo spostamento dell’azione che, dall’interno del piccolo Stato pontificio (con tanto di Cappella Sistina ricostruita a Cinecittà) luogo ideale per disegnare trame, cede il passo a territori più ampi. Come Sorrentino, non credente, si nutre del dubbio e s’interroga sull’esigenza di credere comunque che un Dio esista, come fa dire a un personaggio, i suoi Papi vivono nella sospensione esistenziale fra la grandezza trascendente che li sovrasta, legata al ruolo, e le debolezze e contraddizioni immanenti dell’umano sentire. Fra l’aspirazione alla santità e la ricerca, vagamente narcisistica, del miracolo da compiere. È l’eterna fatica di Sisifo dell’essere umano, trasversale a ogni condizione. Anche sul soglio di Pietro.