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Non convince Hammamet e la versione di Amelio su Craxi

Non convince Hammamet e la versione di Amelio su Craxi

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Non convince Hammamet e la versione di Amelio su Craxi

Recensione di Giancarlo Salemi

Neanche una volta. Il nome di Bettino Craxi non viene mai pronunciato in oltre due ore di film. Eppure la sua presenza è pesante, pressante, ingombrante. Messa in scena da un Pierfrancesco Favino magistrale, fotocopia del segretario del Partito Socialista. Ma il suo nome non viene mai declamato, anzi vengono elencate tutte le “non qualità” che vent’anni fa segnarono la sua dipartita dalla scena pubblica da malfattore fino all’essere considerato un maledetto. Farà discutere Hammamet, tredicesima opera cinematografia di Gianni Amelio. Un regista che torna dietro la macchina da presa dopo tre anni di silenzio, il suo ultimo film è stata La Tenerezza, e lo fa scegliendo un personaggio scomodo, il famoso “Fattore C” che ancora non si è chiuso, di cui la politica e, non solo, si è servita per poi disfarsene velocemente.

l9Il film racconta gli ultimi sei mesi di vita di Craxi ad Hammamet, in Tunisia, in quella che dall’Italia in molti consideravano la “sua reggia” e, invece, si scopre essere una tenuta lontana dal mare, ma immersa negli uliveti, dove il leader socialista trascorreva gran parte del suo tempo. Insieme alla figlia che gli è sempre stata vicino (qui chiamata Anita, come la compagna di Garibaldi, ma che nella realtà è Stefania, impersonata da una brava Livia Rossi) scrivendo le sue memorie e lanciando accuse ben precise. A tutto il sistema, quello del finanziamento pubblico dei partiti, a cui tutti avevano attinto ma che la storia giudiziaria ha finito per colpire solo una parte del mondo politico, di certo – come dice lo stesso Craxi – “non il maggiore partito d’opposizione”, il partito comunista. E, quindi, intravedendo complotti e oscure macchine da guerra.

Anche il nome del giudice, per la verità, di quello che voleva chiuderlo in una cella “e far squagliare la chiave finché non parli” non viene mai pronunciato. Quell’Antonio Di Pietro e quel pool di Mani Pulite che negli anni Novanta ha scardinato un sistema di corruzione, tangenti e malaffare. Ma che, poi, scegliendo anche lui la via della politica alla fine non ha fatto altro che offuscare proprio quell’opera di pulizia della res publica così tanto sperata da chi in quegli anni vedeva il Tribunale di Milano quasi come il Tribunale del popolo.

“Non sono mai stato un simpatizzante né ho mai votato socialista” ha spiegato durante la conferenza stampa Gianni Amelio “anche se l’episodio delle monetine tirate al Raphael l’ho sempre disapprovato. Non fu un gesto politico, le idee si combattono con altre idee, non con sputi, insulti e minacce”. Sarà ma quello che manca nella versione di Amelio di Hammamet è proprio l’altra parte. 

Il film è fin troppo il racconto di una voce sola. Ostile, testarda, maligna, misogina ma neanche tanto visto che le donne sono state anche un altro aspetto importante della vita di Craxi qui raccontate con la presenza di Claudia Gerini. Una voce che finisce per raccontare solo una parte del tutto, senza minimamente accennare a cosa ha rappresentato negli anni Ottanta il socialismo in Italia, a quella sigla CAF – Craxi, Andreotti, Forlani – che quasi nessuno ricorda più. Di certo non i millennials che non sanno neanche chi siano questi politici. E il lato dolente del film è proprio questo. 

Vent’anni fa non c’erano Amazon, Google, Facebook e tutta la paccottiglia dei social network che dominano oggi più che mai nella scena politica. C’era l’esilio – altri l’hanno forse più giustamente chiamata latitanza – di un uomo che dietro al fatto che la democrazia ha un costo e che il sistema si alimentava così non ha mai ammesso le sue colpe. Il peccato originale del film di Amelio è proprio questo. Non aver saputo raccontare a quei millennials quell’Italia e apparecchiare solo una versione di parte che regge solo grazie ad un Favino super ma che nella realtà è stata tutt’altra cosa. Purtroppo.

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