“Gli anni più belli”, il nuovo film di Gabriele Muccino in uscita a San Valentino
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Gli scontri di piazza a Roma, che chiudono sanguinosamente gli Anni di Piombo e aprono gli Ottanta, rendono inscindibile l’amicizia tra gli adolescenti Giulio, Paolo e Riccardo, complice il ferimento di quest’ultimo (che da quel giorno riceve l’appellativo di “Sopravvissuto”).
Le ambizioni e i destini dei tre sono diversi: Giulio (Francesco Centorame / Pierfrancesco Favino), figlio di un piccolo meccanico dai loschi traffici, si laurea brillantemente in giurisprudenza per difendere i più deboli; Paolo (Andrea Pittorino / Kim Rossi Stuart) è il primo a fidanzarsi, con Gemma (Alma Noce / Micaela Ramazzotti), di poco più giovane, costretta però a trasferirsi presto a Napoli; Riccardo (Matteo De Buono / Claudio Santamaria) trascorre l’esistenza tra velleità di giornalista-scrittore, le cure per la madre sola e un matrimonio fallito (sorprendente la prova attoriale di Emma Marrone).
Il racconto, che prende le mosse dall’oggi, descrive in flashback le loro vite ripercorrendo i paralleli macro-eventi della storia nazionale degli ultimi quarant’anni: i Mondiali, Mani Pulite, Berlusconi, la nascita di un movimento politico nuovo cui aderisce infruttuosamente anche Riccardo… È d’altronde sotto il segno della frustrazione l’esistenza di costui e dell’amico Paolo, letterato incompreso ed eterno precario, pendolare tra una scuola e l’altra. Mentre è una scalata al successo la vita dell’avvocato Giulio, che dimentica presto i reietti per unirsi alla figlia del suo (ex) principale (una effervescente Nicoletta Romanoff) e passare sotto l’ala di un importante politico. Gemma, nel frattempo, si riaffaccia, si lega nuovamente a Paolo, ma, segnata da un’esistenza di privazioni e solitudine, si dimostra ricettiva verso altri stimoli…
E così, mentre, tra miope cocciutaggine e trasparenza d’animo, Paolo e Riccardo mantengono una loro sostanziale coerenza, Giulio vende l’anima al diavolo e tradisce i legami più profondi. Ma il tempo, assieme alle lezioni della vita, ribalta le situazioni e appiana i contrasti. E così ci si ritrova, insieme, al punto di partenza… del film.
C’è tutta la poetica di Muccino, ne “Gli anni più belli” (il titolo viene dall’inedito di Claudio Baglioni inserito in questo film, prodotto dalla Lotus Production di Marco Belardi con 3 Marys Entertainment e Rai Cinema e in uscita il 13 febbraio in cinquecento sale italiane; la colonna sonora originale è di Nicola Piovani): gli ideali sacrificati, gli slanci momentanei, gli affetti traditi e il tempo che scorre inesorabile e cambia prospettive ed identità. C’è la sua innata capacità di sintesi e di messa in contrasto, lo sguardo attento ai dettagli e al loro puntuale utilizzo nell’economia del racconto, lo scorrimento narrativo agile e senza sosta dei suoi esiti migliori, talvolta – soprattutto all’inizio – gravato dai tradizionali confronti urlati, parallelismi scoperti e semplificazioni eccessive. Ma è Muccino, qui all’ennesima potenza perché in confronto diretto con il capolavoro cui si ispira, “C’eravamo tanto amati” di Ettore Scola.
Un caposaldo del nostro cinema ripreso letteralmente in alcune soluzioni contenutistiche e formali: i personaggi che qua e là fanno le veci del Narratore e si rivolgono alla cinepresa sospendendo l’azione (qui anche in occasione di un rapporto sessuale); il finale che, dopo un unico, lungo e frastagliato flashback, si ricollega all’inizio spezzato; la figura di Giulio sovrapponibile a quella del Gianni di Vittorio Gassman e gli altri tre protagonisti che condividono molte sfaccettature del proprio carattere con i loro predecessori.
Muccino, però, oltre a spostare in avanti il racconto, allarga di ulteriori dieci anni l’arco temporale e inserisce quattro giovani attori ad interpretare i protagonisti negli anni Ottanta. A sorprendere lo spettatore non sono solo le somiglianze fisiche, ma innanzitutto la bravura di questi “piccoli” attori nel ricalcare gesti ed espressività dei “grandi”, soprattutto quella di Pittorino (Rossi Stuart diciassettenne) e Alma Noce, che a tratti è pressoché indistinguibile – ripeto, non solo a livello fisico – dalla Ramazzotti. Una emulazione non scimmiottata ma genuinamente interiorizzata e difficile da dimenticare, tanto da emergere anche durante la conferenza stampa tenutasi dopo l’anteprima a The Space Cinema Moderno di Roma.
Nella quale Muccino ha voluto sottolineare come tutti i suoi film, e questo in particolare, parlino della sua generazione, gli odierni quaranta-cinquantenni schiacciati dal peso di eredità alle quali non hanno preso parte, dai loro stessi genitori, loro sì coinvolti in prima persona nell’ultima guerra mondiale e protagonisti della Storia e delle sue svolte. I trentenni de “L’ultimo bacio”, i cinquantenni de “Gli anni più belli”, invece, compongono quella “generazione di mezzo” senza arte né parte, sospesa tra il massimo evento bellico e gli attuali eventi planetari, momenti capitali dai quali sono (stati) naturalmente esclusi, una generazione alimentata “a singhiozzo” da ideali e ideologie che si rivelano sistematicamente e velocemente effimeri.
Dobbiamo riconoscere che Muccino è il miglior ritrattista di questi “ex-giovani”, malinconici “evergreen” a cui basta – per mutuare le parole espresse dalla Ramazzotti in conferenza – «un sorriso, un flirt» per (ri)prendere «vita».