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“Dopo il matrimonio”: indagine sulle zone grigie che ognuno di noi ha

“Dopo il matrimonio”: indagine sulle zone grigie che ognuno di noi ha

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“Dopo il matrimonio”: indagine sulle zone grigie che ognuno di noi ha.

Recensione di Eugenio Fatigante

Nell’esistenza di una persona può capitare di smarrirsi, a un certo punto, e poi in qualche modo di “rinascere”. Non succede a tutti, ma è una delle opzioni della vita. Ed è attorno a queste due fasi, che hanno profondamente riscritto il percorso di Isabel, Oscar e Theresa, che si dipana questo remake a generi invertiti. È una delle ultime tendenze del cinema americano che si manifesta in questo “Dopo il matrimonio”, film del 2019 di Bart Freundlich (doveva uscire il 27 febbraio, ma è stato rinviato) che riscrive al femminile il melò danese del 2006 firmato da Susanne Bier, candidato agli Oscar, che fece scoprire l’attore Mads Mikkelsen. Una tendenza che ha interessato vari generi negli ultimi tempi, da “Ocean’s 8”, ultimo capitolo della saga iniziata con “Ocean’s eleven”, fino alla commedia rosa “What men want” che riprende il film “What women want” con Mel Gibson.

L’attuale “Dopo il matrimonio” cambia il sesso dei protagonisti, dando spazio stavolta alla coppia al femminile composta da Michelle Williams e da Julianne Moore (che è moglie del regista e pare che sia stata lei a insistere per convincere il consorte a fare il remake). Proprio la valida interpretazione dei protagonisti è il valore aggiunto di un’opera che, per chi avesse visto la prima versione, non rappresenta altrimenti una scoperta. “Ogni mistero inizia con un segreto”, recita il trailer del film. E così è, in effetti: la storia narra di Isabel Anderson (la Williams) che, con alle spalle appunto un segreto che è fonte della sua motivazione, per gran parte della vita ha lavorato per i bambini di un orfanotrofio di Calcutta e da sette anni è diventata come una madre per il piccolo Jai, un ragazzino vulnerabile che si è molto legato a lei. L’istituto rischia però la bancarotta e, alla ricerca di fondi, lei deve tornare a New York – dove non mette piede da più di vent’anni – per discutere l’offerta giunta da una facoltosa società americana. Un viaggio improvviso che, lungo un’intrigante vicenda, cambierà le sorti di tutti i protagonisti, a partire da Theresa, molto diversa da lei, una multimilionaria in perenne attività; da subito appare evidente però che la donna è interessata soprattutto a lei, Isabel, tanto che, con la scusa della mancanza di tempo, la invita all’imminente matrimonio della figlia Grace. Sarà l’occasione in cui Isabel viene per gradi a conoscenza di una serie di segreti passati e presenti, anche riaprendo vecchie ferite.

L’opera gioca molto sul contrasto fra le due forti protagoniste, specchio di quello fra le due metropoli in cui è ambientato, e indaga su quelle zone grigie dell’esistenza che ciascuno di noi ha. Non mancano i momenti di potenziale commozione per gli animi più sensibili, in un film che si focalizza sul registro della paternità e della maternità e del loro senso e in cui i sentimenti hanno un ruolo fondamentale, senza però togliere mordente alla trama. Il regista Freundlich ha spiegato che, alla fine, si è convinto a girare questo bis “made in Usa” perché ha trovato interessante <esplorare più a fondo la fragilità umana e la gioia derivante dai legami che costruiamo con gli altri nel corso della vita>, anche alla luce del decennio e passa trascorso dal 2006, l’anno del film originario. Il film si caratterizza, inoltre, per una vicenda dove non prevale la classica divisione semplicistica fra buoni e cattivi, ma appaiono persone con diverse sfaccettature al loro interno. Tiene avvinto lo spettatore in una narrazione basata sulla classica contrapposizione tra passato e presente, esplorando la trasformazione nel tempo dei rapporti umani. Tematiche eterne, che per questo danno “sapore” e spessore al film.