I Beatles, la band più famosa della storia, 50 anni dopo la fine
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“Beatles”. Se cercassimo questa parola su un’enciclopedia, oltre alla storia di questo gruppo, troveremmo molto altro: melodia, poesia, storia, rock, moda, pop art, passione, innovazione sia dal punto di vista musicale sia nei costumi. Una parola che è sinonimo di rinascita e una rottura per la musica. Chi non li ha mai conosciuti? Chi non li ha mai sentiti? Chi non li ha mai apprezzati? Nessuno alzerebbe la mano. Eppure sono già trascorsi 50 anni da quando il gruppo si è sciolto.
John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Star, questi i 4 ragazzi di Liverpool che in soli dieci anni, hanno cambiato la storia della musica, contribuendo a renderla più moderna. I numeri parlano chiaro: un miliardo di copie vendute tra cd, vinili e musicassette, 186 canzoni scritte e portate al successo e la collocazione al primo posto da parte di Rolling Stone, la rivista musicale più famosa al mondo, tra i gruppi musicali maggiormente conosciuti.
Tutto ebbe inizio nel giorno in cui si festeggiava la festa annuale della parrocchia St. Peter di Liverpool. Era il 1957 e il sedicenne John Lennon si esibiva con i suoi Quarrymen, mentre il quasi coetaneo Paul McCartney cantava da solo con una chitarra a tracolla. Entrambi rimasero colpiti gli uni dagli altri. Il giovane John aveva grandi capacità nell’improvvisazione: era solito cambiare gli accordi e le parole dei pezzi, rendendo ancora più interessanti le performance del suo gruppo. Il tempo di una breve chiacchierata, un reciproco complimento e il resto è venuto da sé. L’occasione era propizia per contribuire alla nascita di un nuovo gruppo. Con loro si unì George Harrison, riuscito ad aggiudicarsi il meritato posto grazie a Raunchy un brano strumentale da lui interpretato in un’altra audizione così virtuosa da lasciare senza fiato i due compagni di viaggio.
L’idea iniziale sarebbe stata quella di mettere su un progetto acustico per soli chitarristi, poi l’arrivo del batterista Rigo Star dopo due anni di prove, convinse McCartney a passare al basso. Solo allora, la band cominciò a chiamarsi Beatles e finalmente, il concerto da loro tenuto ad Amburgo il 17 agosto 1960, decretò il definitivo lancio nel mondo dello spettacolo.
Sin dagli esordi, la loro trasformazione estetica e musicale, nata seguendo la scia di Elvis Presley, lasciò di stucco il pubblico accorso per ascoltarli ed il fenomeno cominciò a prendere forma. Oltre al successo personale, i quattro ragazzi contribuirono a rendere l’Inghilterra un grande punto di riferimento musicale in ogni angolo del mondo. Quella leggerezza, quel sound un po’ distorto ed elettrico, quei motivi facilmente riconoscibili, spingeranno tante altre persone ad imbracciare degli strumenti nel tentativo di imitarli. Primi tra tutti, i mitici Rolling Stones con cui dal 1962 nacque il famoso binomio, oggi ricordato come la più famosa rivalità in campo musicale. A Londra, nacquero i pub esclusivi in cui tanti altri gruppi si esibivano nel tentativo di farsi conoscere. Tra questi ricordiamo i Soft Machine, gli Who, i Pink Floyd, un semisconosciuto Jimmy Hendrix che nel 1967 soprese gli stessi Beatles all’apertura del loro concerto. Avendo avuto la fortuna di ascoltare in anteprima Sgt. Papers, il nuovo album della band, il chitarrista statunitense studiò in fretta l’omonimo brano, per eseguirlo inaspettatamente davanti a loro, vedendosi così, schiudere le porte verso una carriera ricca di successo e fama.
Help, Rubber soul, Revolver, Stg. Paper, Yellow subarine, Leti it be. Ogni album era un capolavoro ricco di brani che appena la casa discografica lanciava nel mondo, tutti compravano a prescindere, anche senza immaginare ciò che realmente avrebbero ascoltato. Le radio andavano pazze per le canzoni dei Beatles ed anche a distanza di tempo, non passava giorno che i Disc Jockey non ne passassero una per allietare gli ascoltatori, sempre disposti a cantare. Per non parlare dei concerti: appena si diffondeva la notizia che il gruppo avrebbe suonato da qualche parte, che si trattasse di un teatro o uno stadio da 40.000 posti, i biglietti andavano esauriti ovunque in poche ore. Oggi un fenomeno del genere è una consuetudine, ma allora era una novità.
E cosa è accaduto subito dopo per mandare all’aria tutto questo? L’evoluzione musicale, l’avvento della psichedelia, i contrasti politici, il successo che dà alla testa, spesso sono un valido pretesto per buttare giù una costruzione architettonica costruita ogni giorno armandosi di santa pazienza e lavorando con il sudore della fronte. L’ideale comunista di McCartney non visto di buon occhio dagli altri; il desiderio di George Harrison di proporre brani dalle sonorità più dure ed ecologiche e la presenza di Yoko Ono, la nuova compagna di John Lennon, che gli altri giudicavano troppo ingombrante nella sua vita, determinarono un cambiamento determinante. Ricercare delle idee comuni divenne difficile se non impossibile.
La rottura si preannunciava imminente e la triste notizia, non tardò ad arrivare il 9 aprile 1970, alla vigilia di Plastic ono band, primo album da solista registrato da John Lennon in compagnia della cantante giapponese.
Fu uno shock. Piuttosto che le canzoni, il disco è oggi consacrato come il definitivo taglio netto nei confronti degli ex colleghi-amici che avevano influenzato la sua carriera artistica fino a pochi giorni prima. “Per essere ciò che erano i Beatles, bisogna umiliarsi completamente… fai proprio quello che non vuoi fare con persone che non puoi sopportare”. E parole così dure non bastarono; in brani come Mother o working class hero li considerò “zoticoni del cazzo”, mandandoli letteralmente a fare in culo perché “non erano niente”. Un niente in cui John non credeva affatto come scrisse in God, incisa per lo stesso album in cui dice “I don’t belive in Beatles, I just believe in me, Yoko and me and that’s reality”.
Nei suoi dieci anni da solista, abbiamo conosciuto un Lennon sicuramente più maturo e meno ossessionato dalla gloria e dal successo. Ha inciso e prodotto numerosi album, ha scritto Imagine, la canzone oggi cosiderata come la più bella del XX secolo. Eppure, se avesse guardato non con gli occhi ma usando il cuore, avrebbe pensato che se oggi tutti lo ricordano con affetto e stima, lo deve anche ai suoi vecchi amici. Lo deve ai fans che di fronte ai Beatles urlavano come pazzi e che si spingevano ai loro concerti pur di vederli in faccia, non in prima fila ma nel mezzo di una folla disposta in modo disordinato. Quella folla che cantava a squarciagola insieme a loro brani come Twist and shout, Yellow submarine, Hey Jude e Ticket to ride. Da non dimenticare, Yesterday, la hit scritta a quattro mani con McCartney, che nonostante le parole della già citata God, è sempre lì, pronta a ricordarci quanto sia importante credere nel passato. Ebbene, vogliamo sperare che anche lui, se fosse ancora qui, non potrebbe dimenticare quella rivoluzione musicale che i Beatles hanno rappresentato.
Eugenio Bonardi