Il mito di Steve McQueen: storia del divo per antonomasia
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Il mito di Steve McQueen: storia del divo per antonomasia
Steve McQueen è una leggenda del cinema. Attorno alla figura dell’attore americano girano ancora tante leggende, alcune delle quali solidamente ancorate alla realtà, magari ingigantite, così come succede a tutti coloro che, come comete, brillano di una luce fortissima per poi spegnersi prematuramente.
La vita di Steve McQueen comincia il 24 marzo 1930, quando nasce a Beech Grove, nello stato dell’Indiana. Dopo una gioventù tormentata, vari mestieri precari e il servizio nel corpo dei Marines, studia recitazione all’Actor’s Studio di New York di Lee Strasberg: impara a gestire la sua fisicità prorompente e supera i problemi di dislessia studiando i copioni. Gli anni di studio gli permetteranno di diventare un ottimo attore e di affiancare alcuni degli interpreti più famosi e importanti della sua generazione, tra cui Paul Newman e Dustin Hoffman.
Dopo un po’ di teatro e qualche apparizione televisiva, fa il suo esordio, non accreditato, in Lassù qualcuno mi ama di Robert Wise. Il primo, grande film in cui appare è il western I magnifici sette, di John Sturges, ispirato ai Sette Samurai di Akira Kurosawa. Nella pellicola interpreta Vin, uno dei pistoleri assoldati da Chris Adams per proteggere il villaggio di Ixcatlan.
La carriera di Steve McQueen, così, comincia a prendere forma. Interpreta L’inferno è per gli eroi, del 1962, e La grande fuga. Nel 1965 è protagonista del film Cincinnati Kid, in cui una particolare forma di poker, il five-card stud, è parte importante della narrazione e della regia. Il caso Thomas Crown lo vede protagonista insieme a Faye Dunaway, coppia iconica della storia del cinema, insuperabili in quanto a fascino e capacità attoriali.
La consacrazione definitiva dell’attore arriva nel 1973, quando recita nel ruolo di Henri Charrière in Papillon, film ispirato al romanzo omonimo del vero Henri Charrière. La storia racconta della vita del galeotto Charrière, accusato di un omicidio che non ha commesso, nella terribile colonia penale dell’Isola del Diavolo.
Nel film, che vede tra i protagonisti anche Dustin Hoffman, Steve McQueen dà corpo e voce in modo straordinario al carcerato “Papillon”, dando prova della sua bravura come attore. Un grande successo in un film entrato dritto dritto nella storia del cinema mondiale.
I film d’azione, in cui alle doti recitative unisce l’azione, continuano a essere tra i preferiti di Steve McQueen: eccolo nelle vesti del comandante dei pompieri ne L’inferno di cristallo, del 1974, a fianco di Paul Newman. Il film, un colossal hollywoodiano in piena regola, vinse diversi premi Oscar e riaffermò, se ancora fosse necessario, la grandezza del “rude” McQueen.
Seguono altri film come Il nemico del popolo, Il cacciatore di taglie e Tom Horn, fino alla prematura scomparsa, a causa di un male incurabile, nel 1980, a soli cinquant’anni.
Fonte: YouTube
Steve McQueen è una figura non solo legata al cinema, ma anche al mondo delle corse. Innamorato dei motori, non solo durante le riprese dei film faceva a meno degli stuntmen quando c’era da girare qualche scena ad alto tasso di pericolo, inoltre partecipò a diverse gare automobilistiche di prestigio.
In Bullit del 1968 girò le scene di guida a bordo della Ford Mustang, mentre nella pellicola La grande fuga tenta di raggiungere la Svizzera su una Triumph TR6 Trophy agghindata da BMW di guerra: nel film, Steve McQueen volle tentare anche il salto del filo spinato, ma la successiva caduta convinse la produzione ad affidarsi a uno stuntman.
Più di una volta, l’attore dell’Indiana fu tentato di abbandonare la pur brillante carriera di attore per sposare l’altra sua grande passione, le corse. Nel 1970 partecipa alla 12 ore di Sebring insieme al pilota professionista Peter Revson a bordo di una Porsche 908 spyder: nonostante un piede fasciato, arriverà primo nella sua categoria e secondo assoluto alle spalle di un certo Mario Andretti su Ferrari.
Sposato più volte, padre di due figli, icona del cinema americano e simbolo di una vita “spericolata”, come cantò un giovane Vasco Rossi (sulle scene da pochi anni), Steve McQueen fu tradito dalla passione per i motori: le tute ignifughe di amianto gli causarono la malattia che lo uccise, in combutta con il lavoro svolto durante il servizio nei Marines.
“Ho imparato che la vita è una strada lunga e difficile da percorrere, ma non bisogna fermarsi o si rischia di rimanere ai margini” è una delle frasi a lui attribuite, che esprime al meglio la natura di quello che è, a tutti gli effetti, uno dei miti del cinema americano.