Amore, morte e rock and roll, il nuovo libro di Ezio Guaitamacchi
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Non è una biografia su rock star scomparse e nemmeno un’enciclopedia. Piuttosto una seria e attenta riflessione su importanti argomenti come il successo, le idee che ci hanno rappresentato nelle generazioni precedenti ed il valore di un immenso patrimonio lasciatoci in eredità. Un grande scaffale di dischi, con canzoni in cui note e parole, rivivono grazie al ricordo.
Tra aneddoti e curiosità, basta fare una ricerca per aprire le porte della conoscenza. Questo il lavoro svolto dal giornalista musicale Ezio Guaitamacchi, che ha raccolto più di 200 storie per la trasmissione televisiva Delitti rock. Un contenitore di ben 10 puntate trasmesse da Rai 2 nel 2011. L’illustre scrittore ha oggi scelto di ritornare su questi argomenti con l’obiettivo di rivivere le 40 maggiormente significative con occhio diverso.
Dietro a un nome, dietro a una star, dietro al talento e alla tenacia di artisti come John Lennon, Amy Winhouse, Kurt Cobain, Aretha Franklin e molti altri, si nascondevano delle persone piene di cuore, sentimento e passione.
Prima di immergerci nella lettura, viene da chiedersi se insieme a loro abbiamo perso anche qualcosa di più grande. Facile oggi rispondere in modo affermativo, ma individuare cosa, sembra difficile se non impossibile. In questo contesto, un’opera come Amore morte e rock and roll, le ultime ore di 50 rockstar retroscena e misteri di Ezio Guaitamacchi, edito da Hoepli, può offrirci spunti più che adeguati.
Quali sono i personaggi che hanno suscitato maggiormente il suo interesse?
A differenza del documentario televisivo trasmesso dalla Rai, che esponeva delle vicende in modo enciclopedico, questa volta ho scelto di scrivere un libro più narrativo. Le 40 storie presenti coinvolgono 50 rock star e sono straordinarie quanto le vite e le opere che questi artisti ci hanno regalato. Alcune sono piuttosto tragiche e violente, altre sono più poetiche. La morte li avvicina molto alla loro essenza di esseri umani e questa ce li rende più vicini e anche più simpatici. Spesso l’amore era assente, lasciava spazio alla solitudine ed essa si rendeva quasi complice della morte.
Mi faccia un esempio
Il primo che mi viene in mente è quello di Amy Winhouse. Lei è morta da sola nel senso più intimo del termine. Aveva tanti problemi e nonostante avesse conquistato il successo in modo piuttosto rapido, cercava di superare le sue fragilità attraverso l’alcol e la droga. Come lei, anche Dolores O’ Riordan (Cranberries) e Whitney Houston sono decedute in maniera malinconica. E in questo gruppo, non esiterei a inserire George Micheal. Il caso ha voluto che lui intonasse “Last christmas I give you my heart” e che dovesse andarsene proprio nel giorno di Natale, al termine di un’esistenza difficile e travagliata.
Il mio pensiero va a un angelo del blues: Janis Joplin. La sua Trust me, scritta per un fidanzato, lasciava prevedere una possibile rinascita. Purtroppo la storia che ci troviamo a raccontare oggi è ben altro.
Janis ha avuto il privilegio di essere la prima rock star donna in un mondo in cui l’uomo la faceva ancora da padrone. I suoi musicisti erano tutti maschi e questo ha contribuito a rendere le cose più difficili. I locali e le cantine all’epoca erano ricche di cocktail e alcolici a basso prezzo. In più, nella San Francisco fine anni ’60 era molto facile cadere nella trappola delle sostanze stupefacenti. Per questo Janis osava sempre sfidare se stessa, tentando di superare ogni limite. Faceva uso di un’eroina molto particolare, la stessa di cui si servivano Jim Morrison e la sua fidanzata Pamela. Fidandosi di lei, anche Morrison fece la sua stessa fine. L’aneddoto è raccontato nel capitolo finale chiamato “blood brothers”. Pur non essendo mai sorta una simpatia reciproca tra Jim e Janis, i loro destini si sono incrociati a tutti gli effetti.
Per quale ragione queste star che sulla carta potevano essere un modello di stile e cultura, si sono lasciate ingannare?
L’uomo tentava di ottenere un impossibile o poco probabile unione con il divino e la droga era vista come il veicolo per ottenere stadi che in uno stato sobrio non si possono raggiungere. A parte questo, il problema centrale era il rischio di perdere l’affetto e il calore del pubblico. Sì perché le rockstar vivono in un’altra dimensione in cui il successo dà alla testa. Anche se si buttano dal palco in segno di trionfo, temono lo stesso che i sostenitori possano essere critici o addirittura ostili nei loro confronti. Un’eccezione, almeno in Italia, si può fare esclusivamente per Mina. Solo a lei, che ha avuto l’occasione di emergere e diventare un mito nel momento in cui la discografia pop faceva sbocciare i suoi primi fiori, è stato consentito di isolarsi.
Il 1980 fu un anno difficile e complesso per la storia della musica: l’era della musica progressive e del rock inteso come prodotto artistico si stavano esaurendo. Proprio in quel periodo venne ucciso anche John Lennon.
Era un grande uomo, ci ha lasciato tanto. Un essere immortale, come le opere che ha creato. Anche lui ha vissuto dei momenti piuttosto complicati e proprio in quegli ultimi anni era tornato alla creatività di un tempo. Avrebbe potuto darci ancora tantissimo sotto molti punti di vista. Andrea Mirò l’ha definita una grande bandiera di ideali insieme a Yoko Ono, che non si stancava di essere al suo fianco. Lei gli ha dato l’opportunità di crescere come persona, di vivere una grande storia di passione, complicità e crescita intellettiva. Quando ho fatto il programma per la Rai, sono riuscito a rintracciare il medico che al pronto soccorso ha tentato di salvare la vita a John. L’intervista è ambientata nella stanza dove avvenne il massaggio cardiaco con le mani. La situazione era disperata, Yoko non credeva che il marito fosse morto e lui per consolarla, le disse di avere avuto tra le mani il cuore di una generazione. Quella frase mi dà i brividi, facendomi pensare a quando ero ragazzo: per noi la musica era veramente una forma di identità. Ci riconoscevamo nelle cose che ascoltavamo, ci vestivamo in un certo modo e credevamo davvero negli ideali proposti.
Lei pensa che in futuro la musica possa di nuovo rivelarsi portatrice di ideali, oppure dobbiamo rassegnarci?
Oggi l’unico genere che ha questa influenza è la musica trap; ha lo stesso obiettivo che tanti anni fa aveva il rock. Dal punto di vista della reale valenza estetico-artistica, o riguardo all’analisi dei suoi valori, ci sono ancora tanti dubbi. Il tempo stabilirà se ci sarà quella capacità di identificarsi con i fans.
Oggi l’universo musicale è ricco di tanti artisti nell’ombra, che pur non emergendo, sono dei grandi talenti. Dobbiamo chiederci il perché: si tratta di pregiudizio o forse non abbiamo più orecchio?
Oggi ci sono troppi pregiudizi. Nel 1980 per esempio, il punk, il primo degli ostacoli nei confronti del rock, era un genere di secondo piano. Chi in quegli anni ascoltava gli Eagles, i Genesis o i King Crimson, non poteva provare lo stesso piacere sentendo i Sex Pistols o i Clash. Questi artisti sono stati rivalutati con il tempo. Dell’epoca che stiamo vivendo, tutto si può dire meno che siano anni fantastici. La cultura è stata totalmente messa da parte.
A proposito di cultura; in passato ogni generazione ha avuto i suoi ideali. Quali sono secondo lei quelli di oggi?
Gli ideali ci sono, non sono paragonabili a quelli di un tempo. È abbastanza grave il divario che si è creato tra le persone. Ci sono ancora tanti livelli di povertà nel mondo a fronte di persone che stanno molto bene. Questo gap c’è anche nella cultura e questo è frutto di una comunicazione ancora allo stato embrionale che io mi auguro le generazioni successive riescano a colmare. La tecnologia in questo senso è come un turbo. A volte non ce ne rendiamo conto, ma abbiamo tra le mani una Mercedes come quella guidata da Hamilton in Formula 1. Il problema è che manca un pilota più che adeguato, capace di mantenerla in pista attraverso i contenuti. Per contenuti, non si intende solo informazione, ma anche il senso del gusto.
Oggi tantissimi artisti muoiono, o meglio, finiscono nel dimenticatoio perché non riescono a mantenere la stessa creatività. Di chi potremmo ricordarci in futuro?
Di quelli che sono protagonisti del libro quasi tutti. John Lennon, Jimi Hendrix, Aretha Franklin, Janis Joplin, Billie Holiday, Clifford Brown, Charlie Parker o Jaco Pastorius, per fare un tuffo anche nel jazz, hanno toccato delle vette assolute. Certi mondi musicali hanno esaurito non solo la loro funzione, ma anche la loro rilevanza storica. Alcuni generi vanno studiati proprio nel momento relativo in cui sono state generati. Ogni storia ha un inizio, una genesi, un momento di sviluppo, d’oro, maturità e declino. Il rock and roll di Elvis Presley era una forma d’arte longeva. Artisti come Ben Harper o Jack White hanno un limite: sono arrivati troppo tardi e hanno imitato, magari giustamente, la scia di chi li ha preceduti. La loro musica è allo stesso modo bella dal punto di vista estetico, affascinante dal punto di vista emotivo, ma non potranno mai riscuotere lo stesso interesse al livello storico.
Io per esempio che ho 32 anni, posso dire che da bambino mi riconoscevo abbastanza nel pop degli anni ’90. Poi, guardandomi intorno e non apprezzando i successi dei primi anni 2000 trasmessi dalle radio o MTV, ho scelto di guardare indietro nel tempo.
È difficile avere una percezione esatta delle cose nel momento in cui le si vivono. Anche gli anni ‘70, quando ero giovane io, sono stati segnati dalle bombe e dalla violenza; non avevamo gli strumenti che conosciamo oggi come ricordi, filmati, e non solo… ora abbiamo la possibilità di ascoltare musicisti che ancora oggi si esibiscono su un palco, regalando emozioni incredibili. C’è tutto per studiare, imparare e avere quella musica come background artistico. Il resto lo stiamo vivendo e non è così negativo. Oggi i concerti segnati dalla violenza non ci sono più. In particolare, ricordo l’esibizione dei Led Zeppelin a Milano. Tra i lacrimogeni, le camionette della polizia, quell’episodio mi ha fatto vivere un momento di grande paura che mi è rimasto dentro. Eppure quell’epoca lì ha avuto una funzione che seppur cambiata, non morirà, così come rimarranno vive le opere dei nostri “eroi”.
Eugenio Bonardi