“Il cattivo poeta” è il campione d’incassi della riapertura
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Il weekend premia la Ascent Film di Andrea Paris e Matteo Rovere, Bathysphere Productions, Rai Cinema e 01 Distribution: “Il cattivo poeta” di Gianluca Jodice è primo al box-office italiano. Il 20 maggio, giorno della sua uscita nelle nostre sale (e della sua presentazione alla stampa, all’anteprima al Cinema Adriano di Roma), aveva subito totalizzato 3.892 spettatori (quasi mille in più del secondo, il Premio Oscar “Un altro giro”), per un incasso di 23.817 Euro; due giorni dopo, spettatori e incasso sono saliti, rispettivamente, a 11.062 (quasi triplicata la precedente differenza con il film di Vinterberg, sempre secondo) e 73.164 Euro.
Il film si apre nella primavera del 1936, ossia nel momento in cui la carriera militare del giovane federale Giovanni Comini (un luminoso Francesco Patanè), di stanza a Brescia e dall’incrollabile quanto ingenua fede fascista, riceve la propria svolta: il Segretario del Partito Achille Starace lo chiama a Roma per assegnargli l’incarico di “sorvegliante speciale” di Gabriele D’Annunzio.
L’ultrasettantenne Vate, ormai da tre lustri, vive confinato a Gardone Riviera dentro il Vittoriale, la “gabbia dorata” costruita per lui dal regime, che ne rispecchia la gloria trascorsa e l’attuale situazione di “esiliato in patria”: antro solenne, labirintico e sospeso (come la costruzione dell’anfiteatro), serraglio di corpi, statue e servitori di dubbia fedeltà, museo che fagocita caleidoscopiche reliquie e partorisce bizzarrie assolute (una parte dell’ariete torpediniere Puglia collocata – “naufragata” – dentro il bosco bresciano e puntata verso il lontano Adriatico), crepuscolare prolungamento dei fasti (artistici e passionali) del passato e tragica celebrazione, silenziosa, drogata e castrata, di un poeta scomodo da sempre che lo è ancor di più – alla massima potenza – oggi, con il concretizzarsi dell’intesa italo-tedesca, da lui visceralmente osteggiata.
A Comini quindi il compito di informare regolarmente la Casa del Fascio sulle attività dell’anziano. L’accostamento di due personalità diametralmente opposte, il giovanotto inquadrato e sconosciuto con il futuro avanti a sé e il genio ribelle con alle spalle un ingombrante passato di imprese poetiche e militari celebrate internazionalmente, matura giorno dopo giorno in una sintonia spirituale che arriva a far intravedere un impossibile e suggestivo passaggio del testimone (la piuma di pavone). Questo perché, al di là delle differenza d’età e formazione, al di là dei convincimenti politici, D’Annunzio e Comini sono animati entrambi dalla medesima onestà intellettuale, dal desiderio di un avvenire di pace e prosperità per il proprio paese.
Avvenire che, a poco a poco, il ragazzo si accorge essere in grave pericolo proprio a causa di quelle stesse scelte di regime avversate dal Vate. E così, complice il drammatico epilogo dell’appena nata relazione amorosa, Comini comincia a mettere in dubbio l’impianto ideologico in cui ha fino ad allora creduto, con ciò condizionando i propri dossier a favore del poeta con cui quotidianamente si confronta.
È forse il versante privato del giovane federale, con quella storia d’amore segnata e spezzata (anche emotivamente), non a caso unico momento di pura fantasia del film, la parte meno premiante di questo esordio comunque riuscito e spiazzante.
La cui linea narrativa oscilla costantemente tra i due poli – Comini e D’Annunzio – con il rischio talvolta di penalizzare entrambi. È probabile che il regista, autore anche del soggetto e della sceneggiatura, di fronte ad un poeta-eroe tanto famoso e discusso, abbia ritenuto più confortevole indossare (e irrobustire) i panni del testimone, filtrando attraverso gli occhi e il vissuto di questi l’abbagliante luce del Vate.
Resta in ogni caso una felice anomalia, quest’opera prima del quasi cinquantenne Jodice, napoletano classe 1973, laureato in Filosofia, autore di sceneggiature, cortometraggi e documentari pluripremiati (tra gli altri riconoscimenti, tre premi “Sacher” per il corto “La signorina Holibet” e la finale del Premio Solinas per la sceneggiatura “La costruzione della notte”), regista al fianco di Giuseppe Gagliardi per la serie Wildside-Sky “1992”.
In questo suo primo lungometraggio, si respira aria di feconda serietà accademica, una scrupolosa e quanto mai urgente attenzione al peso e al portato delle parole. A cominciare dalla preparazione della storia: lo studio del personaggio D’Annunzio ha portato Jodice ad utilizzare per i suoi dialoghi le parole scritte o pronunciate dal Vate in pubblico; un ritratto poi impreziosito dalla messa a disposizione – per molte scene del film, grazie al Presidente e Direttore generale Giordano Bruno Guerri – del vero Vittoriale, delle sue stanze, delle suppellettili, dei giardini, insomma di quell’aura che accresce il fascino del film e la caratura del personaggio, ottimamente interpretato da Sergio Castellitto.
Alla misurata ed intensa recitazione di quest’ultimo s’è aggiunta la sorprendente fotografia di Daniele Ciprì, capace – dopo la maestosa prova di “Vincere” – di creare una nuova e potente fusione tra Storia e micro-storie, tra monumentalità e intimità, tra le asettiche simmetrie (militari) e le vivificanti infrazioni (poetiche), tra le fredde tonalità della pietra e dell’architettura e quelle calde della natura e del sentimento.