Siamo solo bestie? Sorogoyen indaga sull’animo umano e la giustizia
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Cosa distingue l’essere umano dagli animali? La ragionevolezza. Ebbene tutto questo è manifesto nel nuovo attesissimo film “As Bestas” di Rodrigo Sorogoyen, uno dei registi più in ascesa in Spagna, nominato all’Oscar per il cortometraggio “Madre” e vincitore del Goya (l’Oscar del cinema iberico) per la miglior regia con “Il regno”.
Presentato alla Festa del Cinema di Roma (distribuito in Italia da Movies Inspired) dopo un passaggio fuori concorso a Cannes, il film è ambientato in una Galizia molto lontana da quella del Cammino di Santiago e più vicina agli inferi della montagna. Qui in un paesaggio a tratti spettrale fanno la loro apparizione Antoine (Denis Ménochet) e Olga (Marina Fois), una coppia francese che sogna di vivere in pace coltivando la propria terra e rimettendo in sesto qualche casa abbandonata per rilanciare il turismo locale.
Tutto bene? Neanche per idea, perché il “loro sogno” non coincide con quello dei loro vicini i fratelli Anta (Luis Zahera e Diego Anido) che invece “vivono” quella terra da oltre 50
anni e adesso finalmente vorrebbero disfarsene per permettere ad un’impresa norvegese di piantare delle pale eoliche e passare finalmente, dopo una vita di stenti, all’incasso. Il conflitto è inevitabile. E il tema di cosa sia giusto o sbagliato è il filo conduttore dell’intero film. La frustrazione, la mancanza di giustizia – con una polizia che gira sempre la testa dall’altra parte – è il sentimento che anima “As Bestas” dove va in scena anche il conflitto tra la natura e l’uomo.
“Per questo film mi sono ispirato al genere western – ha spiegato il regista – quelli classici collocano molto spesso la macchina da presa in luoghi neutri e oggettivi. E ho capito che “As Bestas” potrebbe essere un western moderno. Per fare qualche esempio, questa storia ha echi di “Mezzogiorno di fuoco” (1952) e anche de “Gli spietati (1992).Nei western, come in “As Bestas”, la natura e i paesaggi funzionano come ambientazione grandiosa, come elemento ostile, come riflesso della barbarie contrapposta alla civiltà. Lì c’erano i deserti e le praterie americane, qui potremmo avere la frondosità delle foreste galiziane e l’inclemenza dell’inverno. Per questo motivo, ho deciso di girare “As Bestas” come un western, con obiettivi più amorevoli”.
La regia è classica. I silenzi parlano così come i boschi dove si consuma la parte centrale del film. La natura viene filmata come un luogo senza riposo, senza spazio, senza via d’uscita, esattamente come si sentono Olga, Antoine e i fratelli Anta, intrappolati nella montagna che qui non è fiaba ma incubo.
“Questo è il mio film più ambizioso in tutti i sensi – ha concluso il regista – sia dal punto di vista formale che tematico e anche per quanto riguarda l’impianto produttivo”.
Se c’è riuscito tocca allo spettatore dirlo. Di certo tutto è relativo, perfino la giustizia anche se la ragione dovrebbe essere quella chiave di volta che ci distingue dalle bestie. Almeno così dovrebbe essere.
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