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“ Sei pezzi facili “, regia di Paolo Sorrentino su Rai3 per cinque sabati consecutivi

“ Sei pezzi facili “, regia di Paolo Sorrentino su Rai3 per cinque sabati consecutivi

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Da “Migliore” a “Gola”, passando per “Perfetta”, “Qui e ora”, “465” e “In mezzo al mare”: dal 19 novembre, e per cinque sabati consecutivi alle 22 su Rai 3, Rai Cultura propone “Sei pezzi facili”, sei tra le opere teatrali più famose di Mattia Torre, con la regia televisiva del Premio Oscar Paolo Sorrentino. Tutti gli attori, scelti da Mattia Torre per interpretare i suoi indimenticabili personaggi, sono tornati in scena per questo allestimento: Valerio Mastandrea in “Migliore” che apre la serie, Geppi Cucciari in “Perfetta” (26 novembre), Valerio Aprea e Paolo Calabresi in “Qui e Ora” (il 3 dicembre), Giordano Agrusta, Massimo De Lorenzo,Cristina Pellegrino, Carlo De Ruggieri in “456” (il 10 dicembre), e ancora Valerio Aprea in “In mezzo al mare” e “Gola” (il 17 dicembre).

E’ la storia comica e terribile di Alfredo Beaumont, un uomo normale che, in seguito a un incidente (di cui è causa, di cui sente la responsabilità, e per cui sarà assolto), entra in una crisi profonda e diventa un uomo cattivo. Improvvisamente, la società gli apre tutte le porte: Alfredo cresce professionalmente, le donne lo desiderano, guarisce dai suoi mali e dalle sue paure. “Migliore” è una storia sui nostri tempi, sulle persone che costruiscono il loro successo sulla spregiudicatezza, il cinismo, il disprezzo per gli altri. E sul paradosso dei disprezzati che, di fronte a queste persone, chinano la testa e – affascinati – li lasciano passare

Un monologo che racconta un mese di vita di una donna, attraverso le quattro fasi del ciclo femminile. Una donna che conduce una vita regolare, scandita da abitudini che si ripetono ogni giorno, e che come tutti noi lotta nel mondo. Ma è una donna e il suo corpo è una macchina faticosa e perfetta che la costringe a dei cicli, di cui gli uomini sanno pochissimo e di cui persino molte donne non sono così consapevoli. È la radiografia sociale ed emotiva, fisica, di ventotto comici e disperati giorni della sua vita.

Un incidente frontale tra due scooter in una strada sperduta della periferia di Roma; è il due giugno festa nazionale, i soccorsi tardano ad arrivare. I due uomini che giacciono a terra sono due opposti, antropologicamente inconciliabili, destinati a odiarsi: Aurelio è un cuoco famoso, che cucina alla radio intrattenendo massaie e non solo, il suo pensiero è sempre positivo, si sente sicuro, si dice fumantino; Claudio è disoccupato, mammone, impacciato, svogliato, sempre sul punto di soccombere ma, per miracolo, ancora vivo,

L a storia di una famiglia che, isolata e chiusa, vive in mezzo a una valle oltre la quale sente l’ignoto. Padre, madre e figlio sono ignoranti, diffidenti, nervosi. Si lanciano accuse, rabboccano un sugo di pomodoro lasciato dalla nonna morta anni prima, litigano, pregano, si odiano. Ognuno dei tre rappresenta per gli altri quanto di più detestabile ci sia al mondo. E tuttavia occorre una tregua, perché sta arrivando un ospite atteso da tempo, che può e deve cambiare il loro futuro. Tutto è pronto, tutto è perfetto. Ma la tregua non durerà.

Aurelia. Tre e mezzo del mattino. Un viaggio di ritorno da un matrimonio. Un uomo assiste a un incidente stradale e ora, a distanza di mesi, è chiamato a “spiegarsi” di fronte a un giudice. Ma testimoniare presuppone una conoscenza abbastanza precisa almeno del fatto in questione, e la cosa gli riesce alquanto difficile. Perché ha realizzato di non capire niente, né di sé né del mondo che lo circonda. Perché in un’epoca in cui tutto deve essere chiaro, lui è in balia delle onde. È una mania di quest’epoca sapersi descrivere alla perfezione?

Un ritratto dell’Italia visto attraverso il rapporto morboso con il cibo, simbolo di sovrabbondanza, di falso benessere ma anche di voragini psichiche, di vuoti incolmabili: si mangia eccessivamente per dimenticare, per non pensare, per non essere curiosi, per non essere sé stessi, per sostituire qualcuno che non c’ è oppure ciò che non si ha. Tra rabbia e ironia, il testo stigmatizza l’indifferenza di cui l’Italia è capace e che a tavola, davanti a sontuose portate, trova la sua massima espressione, il suo luogo ideale.

 

 

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