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“Infinity Pool” di Brandon Cronenberg alla Berlinale: un incubo distopico ed eccessivo

“Infinity Pool” di Brandon Cronenberg alla Berlinale: un incubo distopico ed eccessivo

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Brandon Cronenberg con il cast di “Infinity Pool” alla conferenza stampa della Berlinale (Foto di Massimo Nardin)

Presentato oggi nella sezione Berlinale Special “Infinity Pool”, il terzo lungometraggio del figlio d’arte Brandon Cronenberg. Con una meravigliosa, conturbante e convincente Mia Goth.

Momenti della conferenza di “Infinity Pool” alla Berlinale (Foto di Massimo Nardin)

James Foster (Alexander Skarsgård) è uno scrittore in crisi creativa e di scarso successo. Con la moglie Em (Cleopatra Coleman), ricca ereditiera, decide di regalarsi una vacanza in un lussuoso resort di La Tolqa, un’isola immaginaria. Là la coppia approccia quella, più estroversa e disinibita, oltre che profonda conoscitrice del luogo, formata da Gabi Bauer (Mia Goth) e il marito Alban (Jalil Lespert). Costoro convincono Em e James ad esplorare ciò che sta oltre le mura del resort, ovvero un mondo oscuro fatto di povertà, paura, violenza e orrore, attrattive irresistibili per dei ricchi annoiati e in crisi. La trasferta sembra decollare e coinvolgere appieno i quattro, che si rilassano ed ubriacano.


Sulla strada del rientro verso il resort, James, messosi alla guida dell’auto di Alban, investe e uccide un abitante del luogo. Gabi, di cui James si è invaghito da subito, lo convince a fuggire senza farsi scoprire. Il giorno seguente, tuttavia, la polizia arresta lui ed Em.
A James si apre però una inattesa via di salvezza: in cambio del pagamento di una cauzione, la polizia gli propone di essere clonato e di consentirgli di assistere alla vendetta del fratello minore dell’abitante da lui ucciso, che giustizierà non lui ma… il suo clone.
Scopriamo che una tale pratica, in quel futuro distopico, è un rito abbastanza usuale riservato alle persone facoltose che possono permetterselo e si prospetta quale disumana alternativa alla purificazione dal male e dal dolore…

Mia Goth durante la conferenza stampa di “Infinity Pool” (Foto di Massimo Nardin)

Sulla scorta del tema di fondo di quest’opera terza, la clonazione appunto, si respira un’intrigante mut(u)azione a distanza tra Cronenberg padre (David) e figlio (Brandon), quasi la poetica e la ricerca di quest’ultimo penetrassero e divaricassero quelle del padre. Se infatti il maestro David si concentra da sempre sulla metamorfosi, la deriva dell’umano sotto i colpi di una pervasiva e lacerante tecnologia, il figlio Brandon restringe ed allarga al contempo il cerchio dell’analisi, attratto da un lato dalle derive della mente umana in collisione con le sue pulsioni innanzitutto sessuali e di prevaricazione dell’altro; dall’altro, esplora di quelle stesse derive le ripercussioni sociali, disegnando un futuro nettamente spaccato in due, tra una manciata di super ricchi e un’orda di disperati.

Brandon Cronenberg con tre dei quattro protagonisti (Jalil Lespert, Alexander Skarsgård e Mia Goth)
(Foto di Massimo Nardin)

Nonostante si abbia l’impressione che il regista – ancor più insistentemente che nei precedenti “Antiviral” e “Possessor” – anteponga lo stile, l’iperbole e le proprie predilezioni tematiche e sensazionalistiche alla costruzione ragionata e articolata di un intreccio ben ordito, i personaggi riescono sufficientemente efficaci, qualcuno persino completo e seducente oltre i limiti dell’esibizione fine a se stessa, soprattutto la Gabi interpretata dalla bravissima Mia Goth, una pedina cardine imperniata su un tratteggio tridimensionale che evidenzia, con potenza e leggerezza, tutte le sfumature e gli eccessi della femminilità.

Conferenza stampa di “Infinity Pool” alla Berlinale: con Alexander Skarsgård e Mia Goth



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