Il teatro Nō nel cuore dell’Italia: natura e tradizione per un nuovo mondo comune
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«Pioveva ininterrottamente da una settimana. Decisi di mettere in scena comunque “Hagoromo” e condividere così la mia preghiera con quella popolazione duramente colpita. Il mio desiderio era che la dea celeste scendesse sulla terra per cospargerla con i tesori della felicità. Durante lo spettacolo, il cielo s’è aperto all’improvviso ed è uscito il sole, la pioggia è cessata e il tempo è diventato splendido».
È il racconto del performer nipponico Tsunao Yamai, cinquantenne Maestro di teatro Nō che nel 2012, un anno dopo il terremoto e lo tsunami che avevano sconvolto il Giappone, mise in scena con il corpo, la maschera (realizzata quattro secoli fa) e il kimono l’opera più rappresentativa del teatro Nō, proprio nell’epicentro del disastro.
Con il medesimo auspicio Yamai è adesso giunto in Italia, in un tour sostenuto dal produttore cinematografico internazionale Kisei Takahashi e organizzato dalla EN Corporation di Chiyomi Sakuma. L’intera trasferta è stata oggetto di fotografie e riprese per il documentario del regista Takuya Higa, assistito dall’operatore, montatore e fotografo Takaya Iwasaki.
Una trasferta nel “centro Italia”, non a caso, partendo da Roma, cuore della civiltà occidentale, storico crocevia di genti e culture diverse.
Sede del Vaticano, e dunque ponte ideale per «un collegamento – come spiega Yamai stesso – tra la venerazione del divino in Europa e in Giappone».
E “Città eterna” ricoperta da monumenti e rovine millenarie. Con cui Yamai ha voluto confrontarsi, dialogare, lasciarsi sconvolgere… rappresentando, tra quelle eredità materiali e maestose, altri “lacerti”, immateriali e per noi lontani, i brani da lui scelti del teatro di cui è inesausto alfiere.
Un trittico d’eccezione che è cominciato con “Okina” (“antico signore”), non una storia ma una danza rituale, invocazione che apre uno spettacolo o saluta l’anno nuovo auspicando buon raccolto e pace tra le genti. Il trittico è proseguito con “Funabenkei”, opera basata sull’“Heike monogatari”, romanzo storico medievale che narra, tra l’altro, di Benkei e Yoshitsune, due valorosi guerrieri cacciati dalla capitale, i quali si trovano ad affrontare lo spirito di Taira no Tomomori, tornato per vendicarsi dopo la sconfitta subita. Apice e conclusione della rappresentazione, “Hagoromo”, di cui Yamai ha rappresentato una versione speciale abbreviata: il pescatore Hakuryō trova una stupenda veste piumata (“hagoromo”) appesa ad un ramo di pino e se ne appropria. La dea celeste che gli appare lo supplica di restituirgliela e riesce a convincerlo. Tuttavia, per riavere la veste che le consentirà di tornare nei cieli, ella deve esibirsi in una danza.
In merito al rapporto con Roma, Yamai mi ha confessato: «Sono rimasto sopraffatto da questa realtà. In Giappone, i palcoscenici e le case Nō sono realizzati in legno proprio per ricordarci che ogni cosa tangibile è destinata, prima o poi, a diventare nulla. Le rovine romane che si stagliano in questi giorni davanti ai miei occhi conservano invece una presenza schiacciante. Travolgente. A me, che mi sono formato con il concetto di “nulla”, queste rovine mostrano lo splendore del mantenere una forma, la meraviglia del “resistere” e del continuare ad esistere con potere pervasivo e persuasivo».
Prima di approdare – il 12 maggio scorso – nella Sala Accademica del Pontificio Istituto di Musica Sacra di Piazza di Sant’Agostino a Roma per l’evento organizzato dall’Ambasciata del Giappone presso la Santa Sede in collaborazione con l‘Istituto Giapponese di Cultura – era dal 2017 che il Vaticano non ospitava il teatro Nō –, Yamai ha indossato i propri preziosi costumi di scena camminando nel centro storico di Roma, davanti al Pantheon, al Colosseo, al Foro Romano, a Castel Sant’Angelo…
…e spostandosi poi a Perugia, nella Sala dei Notari di Palazzo Priori – eseguendo il “trittico” alla presenza dell’Assessore alla Cultura del Comune, Leonardo Varasano – e nella Rocca Paolina, ov’è allestita la mostra dello scultore giapponese Tayga Abe, che a Perugia ha studiato e ora vive.
Dentro quelle mura cinquecentesche, in una sorta di “dialogo al cubo”, Yamai ha ridato vita a “Hagoromo” davanti all’omonima statua realizzata da Abe per l’occasione.
A chiudere, momentaneamente, un cerchio che chiede di rimanere aperto e fecondo, Yamai è rientrato a Roma per l’esibizione nel Pontificio Istituto di Musica Sacra, al cospetto di Akira Chiba, Ambasciatore del Giappone presso la Santa Sede, e sua moglie. Il legno del palcoscenico e della struttura che accoglie l’imponente organo hanno accompagnato il canto e i movimenti di Yamai e dei suoi discepoli, il figlio primogenito Kōta e l’attrice Kiyomi Muraoka.
Sono gli eredi della Scuola Komparu, quasi un millennio e mezzo di storia tramandato di generazione in generazione e sostenuto dal favore dei samurai e dal loro spirito, «vivere ogni momento della vita con tutta la forza». Quell’arte semplice, essenziale, stilizzata e potente come un haiku, nata dalla collettività e dalla preghiera per la pace, è portavoce di una fusione tra l’etica e la spiritualità più antiche.
«I giapponesi – ricorda Yamai –, da sempre agricoltori, hanno sviluppato un timore reverenziale verso la natura e la terra, venerate e rispettate nel profondo».
Timore e rispetto che si concretizzano in un legame radicato e inscindibile nella vita quotidiana e sul palcoscenico: «Il teatro Nō – rivela Yamai – si distingue per il modo peculiare di muovere i piedi. Il baricentro del corpo è tenuto basso, si cammina facendo scivolare i talloni. Quest’andatura permette di restare uniti alla terra, dalla quale si riceve l’energia; parimenti, l’accompagnamento lirico nasce dall’emissione dei suoni, soprattutto i bassi, dal corpo verso la terra. I suoni e i movimenti umani evocano così, costantemente, il senso di convivenza con la natura, l’appartenenza all’ecosistema globale».
Le divinità del Giappone, infatti, non stanno lassù, lontane, ma coesistono con la natura e la terra, così come i defunti, presenze invisibili ma coinvolte costantemente nella vita della collettività. L’artista – ciò che era emerso anche nel mio reportage sulla celebre “live painter” Miwa Komatsu www.ilprofumodelladolcevita.com/la-realta-virtuale-di-venezia-76-e-larte-di-miwa-komatsu-una-finestra-sullinvisibile/ e www.ilprofumodelladolcevita.com/venezia-76-vr-intervista-esclusiva-a-miwa-komatsu/ – diventa tramite tra loro e gli spettatori: «Quando saliamo sul palco – racconta Yamai –, cerchiamo di suscitare in noi stessi una condizione meditativa, svuotandoci per non pensare a nulla. Il corpo dell’artista entra in trance, mette in contatto con le persone di un’epoca passata e, poi, con gli dei».
Quella perpetuata dal teatro Nō è una tradizione intimamente aperta al dialogo con le altre e, al contempo, scrupolosa conservatrice della propria specificità: «Preservare la propria identità – è il monito di Yamai, di spiccata attualità – permette di riconoscere l’esistenza di valori diversi e di rispettarli. È importante convivere e perseguire la mutua prosperità senza stigmatizzare un differente patrimonio valori».
Il “ponte ideale” tra Oriente e Occidente si concretizza nella parole con cui Yamai conclude la propria esperienza in Italia: «Il teatro Nō ricerca la profondità nella semplicità, considera le cose invisibili più importanti delle visibili, va oltre la “quantificazione logica” dei fatti. Oggi pandemia e conflitti stanno sconvolgendo la scala valoriale in tutto il mondo. L’importanza data alle cose materiali e alla crescita economica mostra tutti i propri limiti e noi cominciamo a domandarci in che cosa consista la felicità. Sono certo che il nostro messaggio, che invita la gente a vivere nella tranquillità e nel sorriso, amandosi in una natura serena e pacifica, possa favorire la diffusione di nuovi valori positivi nel mondo odierno. Ritornare alle origini, agli insegnamenti degli antenati, per rinnovare e migliorare il nostro mondo comune». Come domanderebbe ora anche a noi il Maestro Yamai, con la pungente potenza di un sole nascente: «Sono quindi giunti al vostro cuore questi messaggi?».
Qui di seguito il link del video “Hagoromo” realizzato da Takuya Higa:
https://www.youtube.com/watch?v=txmGmQMZd9g
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