Il Leone d’Oro di Venezia 80 è “Poor Things” di Yorgos Lanthimos
«Cosa farebbe una donna se potesse partire da zero?», questa la domanda-riflessione dell’attrice statunitense Emma Stone in merito al film che la vede protagonista, “Poor Things”, l’ultimo lavoro di Yorgos Lanthimos, vincitore del Leone d’oro alla 80a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2023, che si è chiusa ieri sera. Le parole dell’attrice, assente dalla manifestazione come gran parte dei colleghi per lo sciopero dei membri del sindacato SAG-AFTRA, sono state ricordate in conferenza stampa ed hanno offerto lo spunto iniziale nonché il nucleo fondamentale di tutta l’opera.
Per scrivere il film, il regista greco è tornato a collaborare con lo sceneggiatore Tony McNamara. L’idea aveva cinque lustri, risalendo essa al 1997, quando cioè Lanthimos aveva letto la novella di Alasdair Gray (un’opera che l’anno scorso ha compiuto il secolo di vita) e s’era prefisso di realizzarne la trasposizione cinematografica. Ciò che all’epoca era balzato agli occhi del regista fu il personaggio principale, che lui stesso definisce «il più interessante che abbia mai trovato in letteratura… una mente libera, senza vergogna, senza pregiudizi, che sperimenta il mondo a modo suo». A distanza di anni, poi, durante le riprese di “La favorita”, Lanthimos aveva proposto alla Stone – personaggio principale anche di quel film – il ruolo della protagonista di “Poor Things”.
Il romanzo vittoriano ha così preso vita e Lanthimos lo ha trasformato in un racconto fiabesco, surreale, mostruoso, intriso di atmosfere gotiche, città al limite del futuristico, una stupefacente versione fantasy. Originariamente ambientata a Glasgow, la storia ci conduce nella casa londinese del dottor Godwin Baxter (detto “God”). Il volto trasfigurato del professore, vittima pure lui di molti esperimenti chirurgici, e il bianco e nero del suo laboratorio evocano da subito il famoso horror del 1931 “Frankenstein”. Il volto di God, però, è quello – notissimo e amato – di Willem Defoe e il balzo temporale alla modernità è immediato. Le pratiche sperimentali di laboratorio del professore sono alquanto inconsuete e bizzarre, ma coinvolgono per la maggior parte cavie animali. Stavolta tuttavia God salva da morte certa una giovane donna incinta, Bella, sostituendo il suo cervello con quello dello stesso feto che portava in grembo. Quando lei riapre gli occhi, il suo stato psichico è da primissima infanzia. Tutto le è nuovo e sconosciuto, impara a camminare, parlare e relazionarsi col mondo sempre sotto la guida di God, l’unico uomo che conosca. Bella non ricorda nulla della propria vita precedente, il suo passato è un mistero. Nell’esperimento, d’altronde, «corpo e cervello non sono sincronizzati del tutto», come il professore stesso ammetterà.
Bella, dopo aver appreso a muoversi e parlare in modo rudimentale, sente il bisogno di saperne di più, di conoscere la realtà fuori dalla casa/castello/prigione del medico, padre, creatore e padrone. La creatura ha nuovi bisogni: esplorare, conoscere se stessa, il mondo, la propria sessualità. Per non rischiare di perderla, God deve lasciarla andare.
Bella inizia così ad esplorare il mondo, fugge con l’avvocato di famiglia Duncan Wedderburn (interpretato da un eccezionale Mark Ruffalo), uomo dedito ai piaceri e al vizio. Nel suo viaggio, Bella apprende il funzionamento della società umana, dall’alto al basso, passando dagli ambienti aristocratici alle camere dei bordelli. Ha bisogno di indagare ogni aspetto della vita per trovare la forma migliore di se stessa. È questo inesauribile motore di ricerca che porta avanti la struttura narrativa, lo sviluppo della trama e la crescita del personaggio, che in questa iperbole spicca il volo verso la propria liberazione, autoaffermazione ed emancipazione.
Il mondo di Bella acquisisce i colori, le città – ricostruite alla perfezione negli studi di Budapest – prendono forma magicamente sotto i piedi della protagonista e, grazie all’utilizzo di mezzi cinematografici come il grandangolo e la tecnologia CGI, veniamo risucchiati completamente nel racconto. La sceneggiatura, da parte sua, supporta tutto l’impianto, i dialoghi – schietti, pieni di doppi sensi, anticonvenzionali e al contempo perfettamente aderenti al “mostruoso” personaggio e alle situazioni – generano una pioggia di ilarità nella parte centrale del film.
Le sapienti scenografie di James Price e Shona Heath evocano il punto di vista e il cambiamento di prospettiva che l’eroina compie durante il suo viaggio. Gli elementi irrealistici, quali gli animali, sono tantissimi, lo stile visivo stupefacente. In un certo senso, il mondo “si piega” a Bella. Oppure, è lei stessa che lo piega attraverso la propria visione… Quel ch’è certo, il regista, ancor più che in “La favorita”, sfrutta ogni potenzialità del mezzo estetico, per fornirci qui uno sguardo nuovo, da bambini, senza pudore. Perché il mondo creato ex novo negli studi del film è lo stesso che Bella crea per se stessa, nel tentativo di ricomporre la propria realtà e verità. Anche gli abiti del personaggio mutano, all’inizio della storia la costumista Holly Waddington veste Bella con abiti fanciulleschi che si fanno mano a mano più sfrontati e irriverenti.
Il film affronta, attraverso il racconto gotico, temi di grande attualità: la ricerca della libertà, la posizione dell’uomo e della donna nella società, la relazione tra i sessi. «Bella – viene detto nel film – è una donna che traccia la rotta verso la propria libertà». Come ogni viaggio che si rispetti, “la rotta”, il cerchio, si deve chiudere: Bella deve tornare, mutata nel profondo, al punto di partenza, alle sue origini “in bianco e nero” e guardare in fondo all’anima della creatura. Per Bella l’ultima tappa del viaggio è il ritorno a casa, da God, colui che le ha dato una seconda vita: Bella ha saputo utilizzare questa seconda opportunità per rinascere veramente, trovare se stessa e la sua ragion d’essere? Perché si può ricevere la vita da qualcun altro, ma il senso va trovato da sé. O siamo solo delle povere creature?
Nel film, prodotto da Element Pictures, oltre i già citati Emma Stone, Willem Dafoe e Mark Ruffalo figurano anche Cristopher Abbot, Ramy Youssef, Suzy Bemba, Jerrod Carmichael, Kathryn Hunter, Vicki Pepperdine, Margaret Qualley, Hanna Schygulla.
Buona visione!
Commento all'articolo