A Venezia 81 arrivano Lady Gaga e “Joker: Folie à deux”: la follia di un “doppio” controverso
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Arthur Fleck è in carcere. E là rimane, in attesa del processo che decida sulla sua capacità di intendere e di volere all’epoca dei suoi cinque omicidi (sei, come specificherà lui, rivelando anche il fino ad allora da tutti ignorato soffocamento della madre).
Per l’esercito di guardie che occupano le tetre mura del penitenziario e pure per la schiera di detenuti, Arthur è ormai un personaggio, il centro di un’attenzione tra il compassionevole, il malinconico e il derisorio. Ma è, appunto, eminentemente “Arthur”: “Joker”, la sua “ombra” introdotta dal cartone animato in stile Looney Tunes che apre il film, è sempre più distante, quasi una contraddizione, un ricordo sbiadito, limitato a qualche barzelletta richiesta dai poliziotti e dal protagonista puntualmente negata.
La luce nel buio di Arthur sembra aprirsi con l’entrata in scena di Lee Quinzell/Harley Quinn. Ma sarà una luce ambigua e velenosa, perché quella donna è una sua fan della prima ora. Ma lo è, appunto, di “Joker”, non di Arthur”, è una che ha mitizzato quel diabolico clown (arrivando a dare sfogo alla propria “protesta” bruciando la casa di famiglia) e quello stesso personaggio immaginario vuole ora ritrovare, o risvegliare, nell’uomo – vero, in pelle e ossa – che si ritrova accanto.
Le guardie infatti si dimostrano benevole e concedono ad Arthur di stare accanto alla donna, e non soltanto durante le prove di canto cui al detenuto è dato accesso grazie ad un comportamento da tempo inoffensivo. L’alchimia tra i due detenuti (lui in attesa di giudizio ed eventuale sedia elettrica, lei – si scoprirà – dentro sostanzialmente per volontà propria…) dà il la a duetti, canti, balli e intermezzi in gran parte fantasticati da Arthur per spezzare la monotonia e la depressione della vita carceraria.
Il processo e il parallelo evento mediatico cominciano, la folla all’esterno aspetta il ritorno del Joker, e Arthur – al cospetto di un giudice che è (diverrà) il “Due Facce” della saga batmaniana – decide presto di licenziare la propria avvocatessa e di difendersi da solo, con ciò dimostrando (discreta) lucidità, consapevolezza e, soprattutto, distacco da quel doppio che – fuori, la massa di fan, e dentro, il “cavallo di Troia” Lee – lui è ora deciso a rinnegare definitivamente. Un’abiura che avrà conseguenze pesanti…
Film atteso, il più atteso della Mostra del Cinema di Venezia e forse dell’intera annata cinematografica. Corsa alla Sala Darsena, ieri, per accaparrarsi il posto migliore all’anteprima stampa delle 8 e un quarto, la più mattutina dell’intero calendario… e coltelli affilati ad attendere al varco Todd Phillips e compagnia. Perché l’“effetto Joker”, il portato dello sconvolgimento patito e goduto da tutti nel 2019, era ancora pulsante nelle vene dei cinefili ritrovatisi in Darsena cinque anni dopo.
La prima mezz’ora sembra la perfetta soddisfazione di quelle sanguigne aspettative, convince scenograficamente, disorienta sanamente e alimenta speranze in un possibile crescendo, un’esplosione, un ribaltamento, se non spettacolare almeno drammaturgico… Invece, nulla di tutto questo: il film è concentrato tutto sul protagonista e il suo interprete, si rivela passo passo un’indagine a più voci sulla sua personalità. Non c’è davvero (più) spazio per il “Joker” e per il “fuori”, e le evasioni durano pochi metri. Ad Arthur Fleck è riservato soltanto il (non)luogo del carcere e dell’aula del tribunale.
Anche gli “spazi altri” delle sue fantasticherie musicali sono asfittici, posticci, tristi e senza un altrove perché nati e terminati dentro quegli altri super-spazi privi di qualunque orizzonte. A fine film risultano abbastanza chiari gli intenti di regista e produzione: andare oltre il sequel addirittura capovolgendo l’escalation narrativa del film precedente, che loro stessi avevano in un primo momento ritenuto “corpo unico” e conchiuso, senza possibilità di sviluppo. E, con ciò, contraddicendo qualsiasi aspettativa dei “fan” del primo capitolo. O, almeno, le aspettative di quell’”entertainment” citato a più riprese nei dialoghi e nei siparietti musicali del film e ritenuto dagli autori, oltre che dal protagonista, esclusivamente malsano e deviante. Ma dietro la “dark side” dell’“entertainment” c’è – da sempre, dall’alba dell’uomo – una faccia illuminata e illuminante che quegli autori paiono voler del tutto – e sistematicamente – penalizzare se non persino ignorare.
In ciò “Joker: Folie à deux” ha l’ambizione di porsi come un “meta-film al cubo”: la folla si aspetta il ritorno del Joker, una sua (anche minima) rivalsa contro quella sagra infinita di soprusi, partiti dall’infanzia e deflagrati tra le mura del carcere? E il Joker non c’è più, può eventualmente apparire fantasmatico nei siparietti e sbiadito sul volto del protagonista in qualche linea di trucco soltanto accennata. I fan del primo film desiderano i fuochi d’artificio? E questi non ci saranno, si limiteranno a quella timida bomba che squarcia – senza conseguenza alcuna – la parete del tribunale.
La strada intrapresa da Phillipp non è affatto rivoluzionaria, era comunque una delle alternative ipotizzate, quella anzi più premiante che la gran parte di “fan” auspicava: evitare di cedere – come invece fatto, chi più chi meno, da tutti i registi che si sono confrontati con Batman e la sua saga – alle lusinghe del supereroismo e della spettacolarizzazione, sconfessando quanto – tanto! – di buono seminato nel primo capitolo.
Qui tuttavia si esagera e ci si perde: coerente il proseguimento nello scavo psicologico, apprezzata la demitizzazione tanto del protagonista quanto della coprotagonista, interessante l’idea di sublimare la sopraffazione e la deriva umana nei colori artificiali dell’irrealtà dei siparietti musicali… Ma a mancare sono l’originalità e lo sviluppo narrativo, a tratti persino contraddittorio (si pensi alla spropositata reazione delle guardie al rientro di Arthur dopo la sua esibizione processuale in diretta tv: basta a giustificarla l’assunto “se non vuoi essere più Joker ti odiamo”?). “Joker 2” non va “oltre la forma” e rimane impelagato in un limbo indefinito tra narrazione e contro-narrazione, una palude di ambizioni represse e disordinate che non aggiunge alcunché al ventaglio psicologico emerso magistralmente – e in perfetto, onesto e “classico” crescendo drammaturgico – in “Joker 1”, esaspera la performance attoriale del protagonista assoluto – già premiato con l’Oscar: a cos’altro ambire?, al secondo e per un sequel? – insistendo sull’accumulo, sul ridondante, sul già visto e rivisto (gli evitabili “flashback”, sebbene limitati).
Un affastellamento senza meta la cui punta dell’iceberg sono proprio i brani musicati-ballati, interruzioni di un flusso narrativo già asfittico e aggrovigliato su se stesso e, pertanto, ben presto insopportabili. Phillips e compagni dimostrano coraggio, questo è fuor di dubbio, innanzitutto rinunciando ad un (fattibile, nelle premesse) raddoppio del miliardo d’incassi precedente. Il botteghino, con questo “Joker 2”, sarà molto meno generoso.
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