“Alice nella città” impreziosisce la XIX Festa del Cinema con la delicata provocazione di “Il complottista”
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La routine di Antonio Calabrò, un modesto barbiere della periferia romana (lo stralunato ed efficace Fabrizio Rongione), viene sconvolta da una scoperta dalla quale secondo lui dipendono i destini dell’umanità: il lampione davanti al negozio lampeggia in maniera irregolare. Lui non vede in questo fatto un semplice difetto della lampada, ma lo interpreta subito come un chiaro messaggio. Che lui individua in una serie di avvertimenti cifrati trasmessi in codice Morse. In effetti, quella serie di lampeggiamenti ora “lunghi” ora “corti” sembra proprio disegnare una stringa di parole di senso compiuto.
A nulla valgono i richiami alla realtà di amici e parenti, in primis della fedele moglie Susanna (una composta e brava Antonella Attili). Già perché quella scoperta s’innesta all’interno di un’esistenza che covava i segni di una straniata e suggestionabile alterità rispetto al mondo circostante (l’acquisto di una “patacca” passata per “torcia della seconda guerra mondiale”, anch’essa con luce… variabile) e vive un’autentica escalation attraverso eventi apparentemente normali. La polizia chiama Antonio in caserma, ma si tratta di un errore; un politico decaduto cavalca la sua ossessione sul proprio blog; un altro lampeggiamento anomalo, del semaforo di un servizio giornalistico in TV, stavolta, e un pacco racapitatogli che cela altri codici lo condurranno al mittente e forse origine di tutto, un personaggio isolato come lui che sembra effettivamente conoscere segreti decisivi per il mondo intero…
Presentato in “Alice nella città”, la sezione parallela della XIX Festa del Cinema di Roma, il lungometraggio d’esordio di Valerio Ferrara dimostra la genuinità dell’opera prima e la solidità di una preziosa concezione registica.
Un film preparato in tempi relativamente lunghi, d’altronde, se è vero che è la trasposizione del pluripremiato corto di diploma CSC dello stesso regista, “Il barbiere complottista”.
Ferrara ha il merito di trattenere la spettacolarità e la deriva dentro il fruttuoso alveo delle piccole scoperte quotidiane, dei dettagli, dello sguardo del protagonista. Approdando a un finale aperto e, a suo modo, sconvolgente. Come il film nel suo complesso, capace di cavalcare con discrezione e acume le nostre fobie quotidiane e le fallaci convinzioni da “epoca post-pandemia”.
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