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“The New Pope” la svolta intimista nel racconto dei due Papi di Paolo Sorrentino

“The New Pope” la svolta intimista nel racconto dei due Papi di Paolo Sorrentino

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Set of “The New Pope” by Paolo Sorrentino.
in the picture Jude Law and John Malkovich.
Photo by Gianni Fiorito

“The New Pope” la svolta intimista nel racconto dei due Papi di Paolo Sorrentino

Recensione di Eugenio Fatigante
Divenuto una sorta di terra promessa per produzioni e copioni cine-tv (anche per l’effetto commerciale sui ricchi mercati stranieri), il Vaticano torna al centro dell’opera di Paolo Sorrentino. Così  il “giovane papa” del 2016 si sdoppia, anzi si triplica in “The New Pope”, la nuova serie Sky Original (prodotta da The Apartment-Wildside, 9 puntate sugli schermi tv dal 10 gennaio), con la speranza che a moltiplicarsi sia anche il successo. E se in The Young Pope la storia divergeva dalla realtà, con l’avvento di un papa giovane e bello ma conservatore sin dalla scelta del nome (Pio XIII), americano del nord (Lenny Belardo) che traeva forza dal suo essere problematico, stavolta i richiami alla storia reale sono evidenti. Belardo è sempre in un misterioso coma a Venezia (qua terminava la prima serie) e la Chiesa ha bisogno di un pontefice diverso: dopo una prima scelta di compromesso, caduta sul frate confessore (italiano) divenuto cardinale che – una volta eletto – si “scopre” rivoluzionario ma che durerà solo pochi giorni (richiamo a un mix fra Giovanni Paolo I e l’attuale papa Francesco-Bergoglio), si impone come nuova soluzione il teorico della “via media”, ovvero Sir John Brannox, cardinale vestito da dandy che vive appartato in una tenuta inglese, tanto da non aver nemmeno partecipato all’ultimo conclave. Ma mentre il neo-papa inglese (un John Malkovich più ieratico che mai), acuto e ironico ma anche – per sua stessa ammissione – «presuntuoso e vanitoso», che dall’esterno sembrava perfetto per quel ruolo, troverà a interrogarsi sulle proprie fragilità, ecco che dal coma si risveglierà, all’inizio restando in incognito a Venezia, Pio XIII, sempre interpretato da un Jude Law in gran forma. Spuntano così i due papi, tema ampiamente al centro di speculazioni negli ultimi anni. Bisognerà aspettare che, fra nuovi scandali e un attentato in San Pietro, gli eventi facciano il loro corso, anche al di là delle trame orchestrate dal cardinale Voiello segretario di Stato (un sempre bravissimo Silvio Orlando) in una serie che, persa Diane Keaton, si arricchisce stavolta di nuovi ingressi: un Massimo Ghini pure lui cardinalizio, ma soprattutto le “guest star” Sharon Stone e Marilyn Manson.

Negli episodi mostrati alla stampa (I, II e VII) si conferma tutta quella tecnica eccelsa che è il marchio di fabbrica del premio Oscar Sorrentino, con l’ausilio di una fotografia (di Luca Bigazzi) che si trasfigura in un’estetica sontuosa dove i fotogrammi sembrano quasi una successione di quadri, garantendo lo spettacolo visivo. Ma si confermano pure quei toni un po’ sopra le righe (specie per i credenti inevitabilmente, vedasi alcuni cliché sulle suore e su una tendenza all’opulenza di “certa” Chiesa) che, pur essendo parte del “marchio”, rischiano ormai di divenire scontati, soprattutto in un’opera che sfiora le 8 ore. E’ la solita storia di questa tipologia di registi: chi venera Sorrentino si esalterà, chi non lo ama totalmente troverà nuova linfa per i suoi dubbi. Pur nella parzialità dell’anteprima, tuttavia, qualche novità sembra cogliersi: se nella prima serie l’occhio indugiava molto sulle manovre di potere (altro cavallo di battaglia del regista), quasi una versione ecclesiastica de “Il divo” e di “Loro”, nella nuova sembra farsi strada una visione più intimista. Non per niente Sorrentino dice che scopo di “New Pope” è  «esplorare l’ambizione di due grandi Papi: essere dimenticati, lungo una via costellata dagli ostacoli terreni». Riflesso di questa finalità è lo spostamento dell’azione che, dall’interno del piccolo Stato pontificio (con tanto di Cappella Sistina ricostruita a Cinecittà) luogo ideale per disegnare trame, cede il passo a territori più ampi. Come Sorrentino, non credente, si nutre del dubbio e s’interroga sull’esigenza di credere comunque che un Dio esista, come fa dire a un personaggio, i suoi Papi vivono nella sospensione esistenziale fra la grandezza trascendente che li sovrasta, legata al ruolo, e le debolezze e contraddizioni immanenti dell’umano sentire. Fra l’aspirazione alla santità e la ricerca, vagamente narcisistica, del miracolo da compiere. È l’eterna fatica di Sisifo dell’essere umano, trasversale a ogni condizione. Anche sul soglio di Pietro.

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