“Veloce come il vento” di Matteo Rovere, recensione
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Veloce come il vento. Stefano Accorsi. Ph. Sabina Filice
“VELOCE COME IL VENTO” di Matteo Rovere: Recensione.
Giulia De Martino, alla tenera età di diciassette anni, è già un talentuoso pilota del Campionato GT, e il padre,

Matilda De Angelis, Veloce come il vento. Ph. Sabina Filice
Mario, veglia su di lei durante le corse. Un giorno, Mario viene improvvisamente colto da un malore e lascia soli Giulia e il fratello minore Nico. Al funerale giunge inaspettato anche il fratello maggiore, Loris, di cui si erano perse le tracce: un ex pilota formidabile divenuto tossico e in preda alla più totale disperazione. I tre fratelli saranno costretti a fare squadra, riscoprendo una ormai frammentata ma ancora luminosa coesione familiare.
Opus n. 3 di Matteo Rovere (Un gioco da ragazze; Gli sfiorati), VELOCE COME IL VENTO è un film che merita di essere visto per la sua tenacia e la sua voglia di imporsi sulla scena cinematografica italiana. Il regista ci dona infatti 120 minuti di pura adrenalina, disancorandosi dai ritmi serrati puramente italiani/europei per abbandonarsi ad un motor movie dall’ alto potenziale, anche estetico.
Gli accostamenti emergono quasi spontaneamente e non si può non pensare ad un certo feeling con RUSH, di Ron Howard, per ciò che concerne la capacità di mescolare il drammatico all’ azione, e alla celebre saga di FAST AND FURIOUS, con quelle auto che sfrecciano sull’ asfalto caldo e quegli inseguimenti al cardiopalma. Il tutto in salsa romagnola e tanto umorismo di contorno.
Decisamente convincenti sono anche le prove attoriali dei protagonisti. Da un lato, Matilda De Angelis, neofita del mestiere, la quale riesce a ritagliarsi dignitosamente il ruolo di Giulia, giovane donna coraggiosa ma anche un po’ folle, e dall’altro, uno strepitoso Stefano Accorsi, che con la sua interpretazione regala al suo personaggio, Loris, una centralità prorompente all’interno della storia, nonostante sia fin da subito destinato all’emarginazione e alla sofferenza.
VELOCE COME IL VENTO è in conclusione un film che merita una chance, e che, insieme al bellissimo LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT di Gabriele Mainetti, consacra forse l’arrivo di una nuova ondata per il cinema italiano, che, anche se su base derivativa e avantpop, cerca di farsi coraggiosamente spazio nel cinema di genere, con originalità e soprattutto onestà intellettuale.
Luca Di Dio